Concussione, s.f.
Concussione. Il Nomen Omen di questa settimana ci riporta echi Danteschi e alla vita privata e pubblica del Sommo Poeta, così strettamente connesse alla propria arte.
I più devoti alle vicende giudiziarie dell’Alighieri ricorderanno che egli fu condannato definitivamente nel marzo 1302, in seguito alla precedente imputazione ricevuta il gennaio del medesimo anno, per concussione e baratteria. Dante fu chiamato a difendersi in regolare processo ma, com’è noto, non fece ritorno nella città toscana perché trattenuto negli impegni diplomatici presso Bonifacio VIII.
Il Podestà di Firenze, Conte Gabrielli, sentenziò la pena capitale con arsura sul rogo al Poeta nel caso fosse ritornato in territorio fiorentino, sia per non essersi presentato al processo, sia per non aver pagato la multa di 5000 fiorini prevista dalla prima sentenza.
Sulla testa del Poeta pendeva già una condanna d’esilio per due anni e l’interdizione dalla vita governativa della repubblica, e la contumacia gli costò cara.
Permettiamoci un viaggio nel tempo per andare incontro ai nostri intenti etimologici, attraverso le parole di Vittorio Imbriani che ci narra la vicenda con interessanti dettagli:
Il 27 Gennajo 1302, Indizione XV, a’ tempi del santissimo padre messer lo Papa Bonifazio VIII, messer Conte de Gabrielli da Gubbio, cavaliere, sullo esame (relazione) di messer Paolo da Gubbio, giudice deputato all’uffizio sulle baratterie, inique estorsioni e lucri illeciti, con l’assenso e’l consiglio degli altri giudici, pronunziava alcune sentenze. Gherardino del quondam Diodato, del popolo di S. Martino del Vescovo, denunziato da Bartolo di Banco, di aversi preso 72 fiorini d’oro (2880 lire) per far offerire a Dio ed al Battista Guccio del quondam messer Cerretano de Visdomini, – citato, contumace, incorso nel bando di 2000 lire di fiorini piccoli, come dagli atti, – era condannato “secondo i dritti e Statuto del Comune e del Popolo, gli Ordinamenti di giustizia e le Riformagioni” alla restituzione, a 3000 lire di ammenda; non pagando fra tre dì, guasto ed incameramento, di tutta la sua sostanza; pagando, per due anni a’ confini fuori Toscana; in ogni caso, perda i diritti politici. A costui erano uniti messer Palmieri degli Altoviti del sesto di Borgo. Dante Alighieri del sesto di S. Pietro Maggiore. Leppo Becchi del sesto d’Oltrarno. Orlanduccio Orlandi del sesto di Porta del Duomo. I quali, – accusati dalla fama pubblica, dopo che era stato proceduto contro di essi con inquisizione fatta dalla curia e che erano, come contumaci, incorsi in 5000 lire di multa (e de predictis omnibus in actis nostrae curiae plenius continetur), – affinché raccogliessero il frutto della messe seminata, secondo la qualità del seme e siano remunerati con degne retribuzioni secondo i meriti loro, ritenendoli confessi per la contumacia, eran condannati a 5000 lire di fiorini piccoli, per ciascuno; non pagando in tre giorni, si guasti ed incameri, ecc.; pagando, a’ confini fuori Toscana, per due anni; perdano i dritti politici come falsarî e barattieri. Nella inquisizione erano specificati i fatti:
1.° In uffizio e fuori, diretta od indirettamente, baratterie, lucri illeciti, inique estorsioni in cose e in danari.
2.° Denari, cose, scritte di libri, tacite promesse di cose o denari, per l’elezione de’ nuovi priori e del Gonfaloniere; o de’ Gonfalonieri delle arti.
3.° Ricevuto per le nomine di ufficiali in Firenze, nel distretto o altrove, o per fare o non fare stanziamenti, riformagioni ed ordinamenti, o per dare o non dare salarî.
4.° Aver trattato o fatto trattare queste cose.
5.° Aver dato, promesso e pagato essendo in ufficio o dopo averlo deposto.
6.° Aver ricevuto dallo erario, più che gli stanziamenti promettano.
7.° Aver commesso frode e baratterie nel danaro e nelle cose del Comune.
8.° Averne speso contro il Sommo Pontefice e messer Carlo per opporsi alla sua venuta e contra il pacifico stato di Firenze e parte Guelfa.
9.° Aver ricevuto roba o denari da persone, collegi ed università per minacce di danni da farsi o proporsi.
10.° Aver fatto scindere in parti Pistoja, e nominare gli anziani ed il vessillifero d’una sola arte ed averne espulsi i Neri; e divider la città dall’unione e volontà della città di Firenze, dalla soggezione di Santa Chiesa e di messer Carlo paciere in Toscana.
Il 10 marzo 1302 ai cinque suddetti e dieci altri condannati, non avendo essi pagato, non essendosi presentati, secondo legge, viene inflitta una piccola aggravante: – che, se mai alcuno di essi perverrà in forza del comune, talis perveniens, igne comburatur sic quod moriatur.
Ciò che oggi definiremmo, in sintesi, corruzione e concussione. L’Imbriani, lucidissimo esaminatore e ligio al dovere di storico e letterato, non cerca nemmeno per un momento di discolpare Dante e anzi, trova sapientemente nelle vicende di vita burrascosa, viziosa e peccaminosa, il seme che diede poi i natali alla Commedia.
Che se vogliamo ammettere tanta virtù in Dante d’aver resistito alla tentazione, è tutto effetto della bontà vostra, dopo letta questa sentenza. ma converrete almeno che il pubblico, il quale lo vedeva spendere tanto, al di là del suo potere, doveva supporre un’origine turpe al denaro. E, certo, fosse stato solo il debito, turpe era: che il distruggere il proprio patrimonio non è cosa onesta. O non giudichiamo così a’ giorni nostri? quando vediamo un deputato, un impiegato, un consiglier provinciale, ad un tratto, spendere e spandere, senz’avere beni ereditari, senza esercitare alcuna professione, o molto al di là che l’esiguo patrimonio, di quel che la professione non può dargli; non concludiamo noi subito e giustissimamente, non arguiamo, che debba trattarsi di lucri illeciti, di concussione, di affarismo? E, pur troppo, senza tema d’ingannarci! Mi fermo: scivolerei nella politica e nelle parti più lubriche e scabrose.
Per il nostro dantista i reati imputati a Dante, concussione compresa, non erano giustificabili e la pena era ben commisurata alla colpa. Come il peccato scuote l’anima, la corruzione scuote le basi su cui si basa il rapporto tra Stato e chi lo serve e rappresenta.
Il termine concussione, come perfetto Nomen Omen, deriva dal latino CONCUSSIONEM, “scossa, forte scuotimento”, che a sua volta è un derivato di CONCUSSUS, participio passato del verbo CONCUTERE, “scuotere violentemente, scuotere insieme”. Questa parola è il risultato dell’unione tra CON-, utilizzato come particella intensiva, e QUATERE “scuotere, agitare” – che trova in QUASSARE il proprio frequentativo.
Facendo un passo indietro nella storia linguistica, troviamo come la radice di QUATERE si il Proto Indo Europeo *kwet-, “scuotere”, appunto. Questo antico termine è storicamente legato ad un’altra radice, *kes-, “annullare, svuotare”, alla base di termini come il CASSARE latino – e poi italiano – o, per cambiare campo semantico, castità e castello.
Torniamo all’ambito che ci interessa, la storia giuridica di concussione. La sistematizzazione del reato ha origini romane, e la ritroviamo nei Digesta giustinianei, descritto nel titolo 47.13:
47.13.1
Ulpianus libro quinto opinionum
Si simulato praesidis iussu concussio intervenit, ablatum eiusmodi terrore restitui praeses provinciae iubet et delictum coercet.
47.13.2
Macer libro primo publicorum iudiciorum
Concussionis iudicium publicum non est: sed si ideo pecuniam quis accepit, quod crimen minatus sit, potest iudicium publicum esse ex senatus consultis, quibus poena legis Corneliae teneri iubentur, qui in accusationem innocentium coierint quive ob accusandum vel non accusandum, denuntiandum vel non denuntiandum testimonium pecuniam acceperit.
Sostanzialmente quindi, la concussione sussiste nel caso in cui un funzionario statale accetti o estorca denaro in modo indebito, con minacce o per non accusare qualcuno di un crimine. In età imperiale, per rafforzare la labile distinzione tra la concussione e i crimen repetundarum, il nostro reato era utilizzato in condanna della condotta dei funzionari che si macchiavano di abuso di potere imponendo esazioni ai cittadini.
Il termine rimase in uso in ambito giuridico nei secoli successivi, ma è difficile talvolta tracciare l’esatto confine che lo distingua con ciò che definiamo “corruzione” o “estorsione”.
Ritroviamo quindi la concussione nei codici preunitari fino al codice Leopoldino nel quale per la prima volta viene chiarita la distinzione del reato che si verifica o per “costrizione” o per “induzione”. Distinzione ripresa anche nel Codice Zanardelli a fine 1800, che identifica la costrizione come “esplicita” o “violenta”, e l’induzione come “implicita” o “fraudolenta”.
All’interno dell’italiano volgare il termine compare in ambito giuridico per la prima volta con significato di “riscossione indebita di denaro” nelle Costituzioni Egidiane del 1357, dove leggiamo:
Vivanno e sotto adornamento de convenevele honestade s’astegnano da illiciti portamenti, menaçe, concussione et extorsione.
Mentre in altri testi, anche precedenti, esso viene usato con il significato etimologico di “sconvolgimento” sia fisico che emotivo:
Chè ecco lo cedro di paradiso, cioè Andrea ch’era un grande santo nella chiesa, udimmo che fu concusso, ma non divelto; aciò che a noi, che siamo infermi, della sua concussione nasca paura, e della sua fermezza fiducia.
Dal volgarizzamento del Dialogo di San Gregorio ad opera di Domenico Cavalca, del 1330.
In chiusura di questo excursus su un reato ancora “in pieno uso” ai nostri giorni, un ultimo sguardo al peso giuridico e penale che questa “colpa” mantenne nel corso del tempo, oggi stemperato rispetto alla possibile pena di morte in vigore almeno fino alla seconda metà del sec. XVIII. Ne parla Enrico Pessina in un discorso tenuto all’Accademia delle Scienze Morali di Napoli ad inizio ‘900:
I legislatori incriminarono come gravissimi malefizi, giusta la tradizione del Diritto imperiale, gli atti di ribellione all’ autorità del Sovrano. E non solo si riprodussero su questo punto i rigori della legge Giulia de maiestate e del Codice Giustinianeo, ma si costruì la duplice nozione del crimen maiestatis distinguendo il crimen laesae maiestatis humanas e il crimen laesae maiestatis divinae cioè il delitto contro lo Stato e il delitto contro la religione. La pena di morte fu accompagnata per essi dai più acuti tormenti. Lo Stato dal canto suo, oltre ad essere ministro delle rivendicazioni religiose, sottopose ai più duri supplizi, come la ruota, la flagellazione, l’impiccagione, il viricomburio, parecchi fatti criminosi, cioè l’alto tradimento, l’attentato contro la vita del Sovrano o dei membri della sua famiglia, la cospirazione contro il Sovrano, la sedizione, la diserzione, la ribellione ai comandi dell’autorità regia, il peculato, la concussione.
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Bibliografia
Concutere, Concussura, a c. di C. du Cange, 1678, in Cange, et al., Glossarium mediae et infimae latinitatis, éd. augm., Niort : L. Favre, 1883‑1887.
Concussione, in Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana.
Concussione, in GDLI, UTET, (http://www.gdli.it/pdf_viewer/Scripts/pdf.js/web/viewer.asp?file=/PDF/GDLI03/GDLI_03_ocr_498.pdf&parola=concussione).
*KES- in Online Etymology Dictionary (https://www.etymonline.com/word/*kes-).
Concussione, in TLIO – Tesoro della lingua italiana delle origini.
Concussione (dir. rom.) a c. di Brasiello Ugo, in Enciclopedia del Diritto, VIII, Giuffrè editore, 1961.
Studi letterari e bizzarrie satiriche, a cura di B. CROCE, Bari, Gius. Laterza & figli, 1907.
Pessina, Enrico, La riforma del diritto penale in Italia, in Atti dell’Accademia di scienze morali e politiche, Napoli, Stab. Tipografico della Regia Università, 1906.
Corpus iuris civilis. Vol. 1, Institutiones ; recognovit Paulus Krueger Digesta ; recognovit Theodorus Mommsen ; retractavit Paulus Krueger, Berolini : Apud Weidmannos, 1954.
Image Credits: Antonio Maria Cotti, Dante a Verona (Dante deriso a Verona), 1879 (Christie’s)
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