Un saggio del 1928 di un giurista sconosciuto, il genovese Giuseppe Del Vecchio, discuteva un tema tornato dopo quasi cento anni di attualità: la “Morte benefica”, ovvero l’eutanasia.
Non è un caso che questo articolo venga pubblicato lo stesso giorno in cui la Corte Costituzionale si esprimerà in merito al quesito relativo al referendum abrogativo di parte dell’articolo 579 del Codice Rocco in modo da consentire la pratica dell’eutanasia.
Nel mio scavare di archivio ho infatti rinvenuto due piccole chicche a opera di un giurista sconosciuto: il genovese Giuseppe Del Vecchio (da non confondere con Giorgio Del Vecchio, anche se ci sono strani incroci che farebbero pensare a una parentela). Questi nel 1927 aveva pubblicato la monografia La Criminalità negli “Sports”, poi, siccome evidentemente trovò l’argomento assai leggero e l’animo umano è vago, decise di dare alle stampe l’anno seguente Morte Benefica (L’Eutanasia) sotto gli aspetti Etico-Religioso, Sociale e Giuridico.
A dire il vero, comunque, questo saggio di 163 pagine è una rielaborazione di un articolo che aveva pubblicato nel 1926 sulla rivista La Scuola Positiva, titolato L’eutanasia e l’uccisione del consenziente.
Un tema che quasi cento anni dopo è ritornato di attualità. Dato che oltre al quesito referendario è in discussione alla Camera dei Deputati una proposta di legge sempre a tema di eutanasia, dunque, sovvengono le proposte di normazione mosse da Giuseppe Del Vecchio. Perché alla fine a noi interessa questo, può benissimo essere l’oggetto di discussione di persone più adatte di noi la lunghissima disquisizione etico-storico-sociale che Del Vecchio muove partendo dalla Bibbia e arrivando al Ventennio, passando per Greci, Romani e Medioevo.
Tre sono gli elementi necessari per praticare l’eutanasia secondo Del Vecchio:
I. l’Invito;
II. la Prova;
III. il Referto Medico.
L’Invito a commettere la pratica è il primo elemento costitutivo della fattispecie: non si può procedere a eutanasia senza una richiesta esplicita del morituro.
Questo Invito deve essere poi provato dall’eutanasista, per scritto o con plurimi testi, se non vuole cadere nel caso di omicidio. La Prova è il secondo elemento costitutivo della fattispecie. “Non verremo per questo a pretendere una prova legalizzata, un consenso espresso in marca da bollo con firma autenticata da un notaio o da altro pubblico ufficiale, vidimata magari da un Tribunale, come abbiamo letto nei disegni di legge americani e tedeschi, ma solo una testimonianza orale o scritta [Del Vecchio contempla la prova orale perché considerava anche il caso dell’eutanasia sui campi di battaglia] che comprovi l’esistenza del consenso da parte dell’inguaribile e la diagnosi medica”. La prova serve a dare la certezza che “il malato o il ferito, conscio della sicura e vicina morte, diagnosata in qualsivoglia modo da referto medico, voglia troncare gli inutili spasimi di un’agonia orrenda”.
Necessaria è anche la presenza di un Referto Medico, terzo elemento necessario all’azione, in assenza il quale si cade comunque nell’ipotesi di omicidio. Anche il referto può essere orale o scritto, ma deve consistere in almeno due medici che attestino l’incurabilità. Almeno due, non uno, per evitare casi di imperizia o corruzione, in modo che la decisione del singolo non sia fondata sulla valutazione di un singolo.
Chi deve commettere l’atto? Del Vecchio qui si schiera contro l’ipotesi del medico: “Essere medico non è buon requisito per avere un animo forte né tampoco esercitare azioni che esorbitano dall’ordinaria sfera delle proprie attitudini professionali“. Per il genovese non ci deve essere una categoria professionale, “l’eutanasista”, ma il punto della sua proposta è quella di elaborare una particolare scriminante che permetta a chiunque, in presenza di Invito e Referto Medico, di procedere alla pratica di una eutanasia senza commettere un omicidio. Anche perché un medico non è sempre disponibile e sarebbe sbagliato far soffrire ore in più un ferito o un malato.
Del Vecchio ci tiene poi a schierarsi contro i sostenitori dell’eutanasia come pratica eugenetica:
“I primi asseriscono: si deve ammazzare per il bene dell’umanità da un punto di vista eugenetico; ed infine perché l’Io cosciente è turbato alla vista dell’umanità sofferente, non in altro modo guaribile.
Nulla di tutto ciò.
Si può ammazzare perché le ultime volontà del morente sono relative all’abbrevio del tempo che naturalmente gli resta a morire.
Per quelli, sono loro che dovrebbero esercitare un diritto codificato o no; per noi è il morente, non noi, il depositario di tutti i diritti verso sé stesso.
Ecco la capitale differenza“.
Due anni dopo venne emanato il nuovo Codice Penale e probabilmente Del Vecchio capì che aria tirava, tanto che nel 1931 cessò la sua attività di pubblicista.
* Nota di colore, la prefazione de La Morte Benefica venne scritta da Tullio Murri, condannato nel 1905 a 30 anni di reclusione per omicidio premeditato per il Caso Murri. Ne scontò 17 e si rifece una carriera come scrittore e giornalista. Ma questa è un’altra storia.
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