Cognome, s.m.
“Solo il nome giusto dà a tutte le creature e a tutte le cose la loro realtà” diceva Michael Ende, ne La Storia Infinita, dove la trama ci insegna l’importanza e il potere racchiuso nel nome e nell’atto di nominare qualcosa, qualcuno.
La Genesi stessa ci insegna che dare un nome alle creature è un gesto da non sottovalutare: ne conseguono responsabilità e potere su di esse.
Uscendo da questi ambiti veterotestamentari e letterari, resta di fatto l’uso pratico dell’atto di nominare le persone e le cose: il riconoscerle tra la moltitudine.
Questo è ancor più vero se le creature in oggetto sono gli uomini, per i quali si è scelto di indicare anche un cognome ad accompagnamento e completamento del nome. E non per rafforzare incantesimi e magie di sorta, ma per mera praticità burocratica.
Prima di addentrarci nell’etimologia di cognome, è utile fare quattro passi nella storia per ripercorrerne genesi e prassi.
La pratica di attribuire alle famiglie unelemento nominale e distintivo risalga addirittura al II millennio a.C., ideato come espediente pratico per riconoscere più agevolmente i nuclei familiari da registrare con i censi periodici, nella Cina dell’Imperatore Fu Xi.
Facciamo un salto temporale per approdare nell’Antica Roma del 650 a.C., dove, su un modello preesistente tra le popolazioni Mediterranee, si stabilì gradualmente l’utilizzo di un sistema binomiale per identificare gli individui, composto da un nomen gentilicium, ereditato dalla propria gens di appartenenza, e da un praenomen, un “nome” distintivo per ogni singolo membro della gens.
Nel periodo Repubblicano, e con la crescente esigenza di distinguere in modo univoco un individuo da un altro anche all’interno della stessa gens, si andò cristallizzando la pratica del cognomen.
Questo terzo attributo, che andava a creare un nuovo sistema trinomiale dal punto di vista censuario, si affiancava al nomen gentilizio, il quale, per contro, sarebbe andato scemando nell’uso, poiché la funziona pratica per cui era stato creato si stava facendo sempre meno efficace, chissà, forse proprio per i troppi casi di omonimia.
Il cognomen poteva derivare da innumerevoli casistiche: dalle caratteristiche fisiche o qualità, dal mestiere, dal luogo di nascita o da un semplice oggetto, da un avvenimento storico e militare di rilevanza intrinseca e così via.
Col tempo, il cognomen divenne ereditario, specialmente tra le famiglie patrizie, per la funzione pratica di identificare le stirpi all’interno della stessa gens. La pratica passò anche alle famiglie plebee, che tuttavia non potevano fregiarsi di due, tre cognomina come i patrizi, ma per loro ne bastava uno solo.
Con la caduta dell’Impero, e l’entrata nel vivo del Medioevo, questo sistema andò perdendosi nell’uso, salvo qualche “soprannome” identificativo per i più fortunati.
La crescita demografica dei secoli X e XI tuttavia, riportarono in auge la necessità pratica di censire e di individuare il singolo tra la folla. Ecco il rifiorire di una nuova sfolgorante gamma di cognomi, derivati dal patronimico, dalla corporazione di appartenenza o dalla città di nascita e così via.
L’uso non era comunque ancora ufficializzato: si trattava solo un espediente pratico.
Fu con il Concilio di Trento del 1564 che la Chiesa decise di mettere ordine definitivamente a tanta varietà di metodologie: il cognome divenne obbligatorio sia per i nuovi nati che per tutti gli atti registrati nei libri parrocchiali. Sia mai che due consanguinei potessero sposarsi, non siamo in una tragedia di Sofocle.
Dunque, storia insegna che agli uomini un solo nomen non basti: ci vuole anche un cognome. E perché no, anche due, o tre, magari. Usiamolo questo inchiostro nelle firme, suvvia!
Ma cosa ci racconta l’etimologia di cognome? Dopo l’excursus storico sarà facile intuire come si tratti, nel latino, dell’unione della preposizione CUM, “con”, e del sostantivo “NOMEN”, “nome”, perché nato proprio per affiancarsi al nomen.
Un’etimologia antica vorrebbe far derivare nomen dal verbo GNOSCERE, “conoscere”, ma è un false-friend: l’origine attestata è nel Proto-Indo-Europeo *h₁nómn̥, “nome”, appunto, dal quale discende anche il greco antico ὄνομα.
Dalla magia alla praticità la strada è breve. E se non siamo contenti del nostro cognome, si può sempre seguir l’esempio di un personaggio ricordato dal Dossi, in una delle sue opere:
Certo professore dell’Università di Bologna, d’origine veneziana e chiamato Bottèr (bottajo) s’era di motu proprio intedescato, preponendo l’accento, e si faceva chiamare Bòtter. E così credeva nobilitarsi il cognome.
Bibliografia
Cognome, in TLIO, Tesoro della Lingua Italiana delle Origini (accessibile online).
Cognome, in GDLI, Grande Dizionario della Lingua Italiana (accessibile online).
Nome, in Dizionario Etimologico, a c. di Ottorino Pianigiani (accessibile online).
Bowman, William Dodgson. The Story of Surnames, George Routledge & Sons, Ltd., Londra, 1932.
Salway, Benet (1994). “What’s in a Name? A Survey of Roman Onomastic Practice from c. 700 B.C. to A.D. 700”, in Journal of Roman Studies. 84: 124–145.
Carlo Dossi, Note Azzurre, Adelphi Edizioni, Milano, 1964.