Dal 1° al 3 dicembre 2021 si sono tenute le prime prove scritte del concorso notarile dall’inizio della pandemia. E il 3 dicembre 2021 coincideva anche con l’anniversario della nascita di Guido Capozzi, presidente della Corte di Cassazione e grande giurista, maestro di generazioni di avvocati, magistrati e notai.
Raffaele Viggiani, notaio, nonché fondatore, direttore e docente della Scuola Notarile Viggiani, presenta un piccolo racconto dedicato al notariato, che ricorda con affetto e un po’ di poesia e magia il Presidente e Maestro Capozzi.
Era il mese di maggio di tanti anni fa e, da giovane sbarbato e neolaureato, entrai in contatto con il Maestro Guido Capozzi.
Ma facciamo un piccolo passo indietro. Non posso mica sbrodolarvi tutto di colpo.
Avevo appena rifiutato una proposta per entrare in un prestigioso studio legale milanese. Ero attratto dalla fisiologia del diritto, da quel poterlo vedere e dirigere da sopra le righe (e le parti).
L’avvocato mi disse: “ma faccia almeno una prova, vedrà che sarà tutto di suo estremo gradimento!”. Ma il destino, per la prima volta, si mise di mezzo: la prova sarebbe dovuta iniziare in concomitanza con il mio mese di scuola di vela da Les Glénans in Irlanda, il mio modo per perfezionare l’inglese e festeggiare quattro anni densi di studio. Non se ne fece nulla (della prova, ovviamente).
Del resto, non ambivo a sostenere, motivare e argomentare tesi in cui non credevo, solo per supportare il mio cliente. Sì, forse è una visione molto integralista del diritto e della professione forense. Ma mi dicevo: se non decido con integrità e integralismo ciò che voglio diventare, come potrò mai farlo con tutto me stesso?
E così, quindi, iniziò il mio viaggio nel favoloso mondo del notariato.
C’è un tratto comune a tanti giovani che scelgono questo percorso. Approcciare il diritto civile come (se fosse) un teorema matematico, un enigma logico e scoprire, giorno dopo giorno, che richiede il bilanciamento di valori, interessi ed esigenze anche sociali e collettive.
Lo definisco affascinante, intrigante, a tratti seducente.
Provo – da sempre e ancora oggi – una profonda attrazione intellettuale verso la sfida che ogni giorno le più disparate tesi giuridiche mi sottopongono. È come trovarsi in un’arena e dover mettere ordine al caos: quando ci riesci ti regala pace interiore.
Forse cerco solo la pace, chi lo sa! Ma ritorniamo a quel maggio dell’anno 2000.
Mio padre era stato allievo di Guido Capozzi e mi disse: “Raffaele, ti accompagno dal Presidente (Capozzi, infatti, non era notaio, bensì Presidente di Corte d’Appello) e te lo presento, poi sarà lui a dirti cosa fare e cosa studiare”.
Mi fidai ciecamente, come un figlio si fida del padre e come un pischello non può che fidarsi di un Maestro.
Ci recammo a Napoli, in Vicoletto Cimarosa, dove si trovava la casa e scuola (era un tutt’uno) di Capozzi. Lui ci accolse nel suo studio privato.
Mio padre gli raccontò di vent’anni prima, quando si recava da Cosenza per frequentare le sue lezioni. Dopo di che, il Presidente disse a mio padre di allontanarsi e volle rimanere da solo con me nel suo studio. Iniziò a chiedermi perché avessi scelto giurisprudenza, perché volessi fare il notaio e mi domandò della mia tesi di laurea.
Era affascinato dall’argomento (il venire contra factum proprium, tema tanto raro) e si intrattenne con me per una decina abbondante di minuti. Alla fine mi disse: “ti aspetto a lezione. Ma se ti fa piacere, vieni anche la mattina, c’è un gruppo più ristretto di allievi e, nonostante siano più avanti, potrebbe essere per te stimolante”.
Ora provate a mettervi nella testa di un ventiduenne neolaureato. Che aveva voglia di approfondire, studiare e conoscere il diritto. E considerate quanto quella proposta possa essere stata di stimolo, ma allo stesso tempo oscura.
Perché mi ha detto quello che mi ha detto? Ha capito in due minuti che sono potenzialmente bravo? Lo dice a tutti? Qual era il senso di tutto ciò?
Lo avrei capito solo anni dopo, molti anni dopo.
La vita ha infatti voluto che dal 2010 iniziassi a svolgere didattica per la preparazione al concorso notarile. Devo dire, aprendovi il mio cuore, che è la cosa più bella che potessi decidere di fare. Non riesco a trovare soddisfazione migliore di quella di aiutare tanti studenti nel coronare il loro e il mio sogno.
Dico mio, perché quando un allievo vince, io rivinco ogni volta il concorso e per me è adrenalina allo stato puro.
Indirizzarli, spronarli, guidarli in questo lungo percorso, fatto di insidie nascoste e ostacoli subdoli. Allenarli nei minimi dettagli, essere il loro fratello maggiore. Tutto questo mi piace, da morire. E con il tempo ho sviluppato quella sensibilità nel capire i ragazzi. Nel leggere tra le righe, nelle loro pupille, nel loro cuore. Nell’anima di chi è timido e insicuro, in quella di chi è spavaldo, in quella di chi cerca una rivincita sociale e in quella di chi sogna una professione e un lavoro diverso dagli altri.
E quando parlo con uno studente intravedo subito quella scintilla, quella passione, quella voglia. Parla da sola, io non faccio alcunché, ma riesco a intravederla, chiaramente.
Percepisco la passione, la voglia, l’amore. Forse lo stesso amore che percepì il Presidente parlando con me anni prima.
Ma voglio raccontarvi un’altra piccola storia. Quando il destino decise di mettersi di nuovo in mezzo.
Perché ancora non me la spiego e da quel giorno credo in ciò che Paulo Coelho insegna: “il mondo ci lancia messaggi, sta a noi saperli cogliere e interpretare”. Beh, come vedrete tra poco, in questo caso il segnale era più che eloquente.
Era la sera precedente alla prima lezione da Capozzi. L’indomani avrei dovuto prendere la mia auto, fare tre ore di viaggio all’andata e tre al ritorno. Con fare meticoloso, feci ordine mentale e misi sulla poltrona di casa le cose che avrei dovuto portare con me nel viaggio. Scelsi i vestiti per il giorno dopo. E poi mi dissi: “starò fuori dalle 5 di mattina alle 22, mi porto anche una camicia di ricambio”.
Sì, lo so: è strano, non credo di averlo mai più fatto. Ma aspettate e capirete.
Arrivai a lezione. Parcheggiai l’auto ed entrai. Il Presidente mi accolse, mi presentò agli altri allievi e iniziammo la lezione.
Ovviamente erano più avanti di me, cercai di capire la logica, le dinamiche, l’anima di quegli insegnamenti. Ero contento, parlavamo di diritto, come piaceva a me. La sfida intellettuale che cercavo era viva e attuale. C’era stimolo, confronto, dubbi e curiosità.
Ero felice, sì. In un batter d’occhio, come sempre accade quando le cose ti piacciono un sacco, arrivò l’ora di pranzo. Uscimmo tutti in un piccolo parco là vicino per mangiare qualcosa. E mentre ero seduto su una panchina e parlavamo tutti assieme di uno degli argomenti mattutini, il destino bussò una seconda volta.
Un uccellino decise di andare al bagno. Solo che lo fece mentre svolazzava su di me.
Credo non avesse calcolato bene i tempi e, tra l’altro, non avesse preso bene la mira. Di colpo, sentii un piccolo rumore sulla spalla destra. Ecco, mi aveva colpito!
Lì per lì, mi vennero in mente solo due cose: tutto questo avrebbe dovuto portarmi fortuna e, in più, mi ritrovavo (non so perché) una camicia di ricambio.
Corsi verso il parcheggio e in quei minuti pensai a quanto mi era appena capitato. Mi chiesi se tutto ciò avesse un senso o se fosse puramente casuale. Mi chiesi se il caso esistesse davvero o se fossimo solo noi artefici del nostro destino.
Negli anni successivi, nei momenti più difficili, ho sempre ripensato a quel momento. Ho trovato forza nella stessa forza di un’idea.
In quel piccolo uccellino. In quell’amore per il diritto. E in quella prima lezione dal Maestro Guido Capozzi che non scorderò mai.
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