Calunnia, s.f.
Oggi proseguiamo il viaggio alla scoperta della storia delle parole del diritto con un evergreen caro a molti, non ai devoti della Giurisprudenza, ma anche ai profani che ne hanno subito malia e fascino.
Avviamoci sulle note della cavatina cantata da Don Basilio nel Barbiere di Rossiniana memoria:
La calunnia è un venticello
Un’auretta assai gentile
Che insensibile sottile
Leggermente dolcemente
Incomincia a sussurrar.
Piano piano terra terra
Sotto voce sibillando
Va scorrendo, va ronzando,
Nelle orecchie della gente
S’introduce destramente,
E le teste ed i cervelli
Fa stordire e fa gonfiar.
E via così, sarebbe da riproporla tutta, o da correre a sentirla a teatro; ma lo spazio è poco, e i teatri son chiusi; comunque, potete riascoltarla qui, nell’interpretazione magistrale Robert Lloyd.
Parliamo dunque di lei, Sora Calunnia, un termine che fa drizzar i peli al sol pensiero.
Sappiamo che agli occhi del diritto, si tratta di un reato punito dal Codice penale (art. 368) e che si verifica quando una persona espone all’autorità giudiziaria un’accusa verso un’altra persona, pur essendo a conoscenza della sua innocenza. Una falsa accusa, insomma, tesa a diffamare qualcuno, punita in modo equamente severo al danno inferto.
La sua etimologia può forse aiutare a sviscerarne meglio l’aura negativa che, è il caso di dirlo, è del tutto meritata.
Calunnia deriva dal latino CALUMNIA, “ingiuria, accusa infondata”, che trova corrispondenza nel Proto-Italico *kalwomniā, avente sempre la stessa attinenza semantica.
I termini hanno radice comune con CALVOR, “ingannare, truffare”, dal Proto-Italico *kalwōr, con corrispondenza nel Proto-Indo-Europo *ḱelh₁- or *ḱh₂l-: i classicisti noteranno la somiglianza con il greco antico κηλέω, “stregare, mandare un maleficio”. Potrebbe esserci stata una radice comune tra questi termini e il moderno call in inglese, derivante da un Proto-Indo-Europeo *gal- , “urlare, chiamare”? Per ora tutto resta possibile quanto incerto.
L’unico dato che possiamo dare come assodato è che la calunnia, per etimologia e per storia linguistica, non ha mai visto periodi migliori, sicuramente non semanticamente.
E potremmo dire nemmeno giuridicamente.
Per il Diritto romano, essa era un delitto che, come oggi, consisteva nell’accusare degli innocenti per reati che non avevano commesso. Una prima disciplina riconosciuta a riguardo la si trova nella Lex Remnia de calumniatoribus, promulgata circa nell’80 a.C. e sancì come i calunniatori dovessero giudicati dinanzi alla stessa quæstio (tribunale) incaricato di giudicare il calunniato.
La pena era l’interdizione dalla parte dell’accusa in successivi processi. Successivamente e in periodo postclassico troviamo il singolare e molto pratico uso di marchiare la fronte del calunniatore con la lettera K di “Kalumnia”.
Dunque, marchi a fuoco a parte, possiamo dire che la calunnia abbia avuto una fortunosa e ben conservata vita giurisprudenziale, almeno fino ai nostri giorni e al vigente Codice penale.
Nell’italiano volgare, vale la pena di citare la primissima apparizione del termine in un testo scritto – tra quelli giunti sino a noi:
Aurelius Comodus filio de Antonio e esso Antonius regnao anni .xiij. e ne lo principio mustrao como devea essere e como li fossi dicto da li granni, ka li barbari non te lassaraono pilgiare forsa e quello respuse per calunnia e dixe: “E ke ao opporto de fare ne li homini morti essere crudele a tucti.”
Si tratta di un passo delle anonime Storie de Troja et de Roma, risalente alla metà del 1200 e redatto in area laziale, sulla base di un precedente testo in latino in materia di storia romana.
La calunnia certo, come abbiamo osservato, è stata musa ispiratrice ed non solo elemento d’arredo per molte opere artistiche e letterarie, forse per la propria naturale versatilità ad adattarsi a diversi ambiti dell’essere umano. Citiamo a chiusura solo un ulteriore, divertente passo dalla penna affilatissima del Giusti, che scriveva nel suo Epistolario:
Quando c’è di mezzo il galantuomo, pecca di intolleranza il costituzionale che chiama ladro il repubblicano, e il repubblicano che chiama ladro il costituzionale. La calunnia è sempre calunnia, o inalberi il giallo e nero, o inalberi il rosso, o inalberi il tricolore. Le ingiurie sono ingiurie a Pietroburgo come negli Stati Uniti, e le maschere sono maschere di carnovale come di quaresima.
Che dire dunque, alla calunnia il merito di essere un perfetto Nomen Omen, al calunniatore ben minori gli onori, ma quantomeno non rischierà più una “K” in fronte, magra consolazione o, per dirla con Rossini e Sterbini:
E il meschino calunniato
Avvilito, calpestato
Sotto il pubblico flagello
Per gran sorte va a crepar.
Bibliografia e sitografia
Calunnia, in TLIO – Tesoro della Lingua Italiana delle Origini (accessibile online).
Calumnia in Charles du Fresne du Cange’s Glossarium Mediæ et Infimæ Latinitatis (augmented edition, 1883–1887); Charlton T. Lewis and Charles Short, A Latin Dictionary, Oxford: Clarendon Press, 1879.
Calvor, a c. di De Vaan, Michiel, in Etymological Dictionary of Latin and the other Italic Languages, Leiden, Boston: Brill, 2008.
Calunnia, in GDLI, UTET (accessibile online).
Crimen calùmni; Lex Rèmnia de calumniatòribus, in Dizionario Giuridico Romano, ed. Simone (accessibile online).
Epistolario di Giuseppe Giusti, raccolto ordinato e annotato da Ferdinando Martini. Con XXI appendici illustrative. Nuova edizione con l’aggiunta di sessantadue lettere e di altre due appendici, Firenze, Le Monnier, 1932.
M. Beghelli, N. Gallino, Tutti i libretti di Rossini, Milano, Garzanti, 1991.
Milano, 1988. UX Designer e Project manager, dottoressa in Filologia Moderna. Appassionata di vino, cose vecchie e storia della lingua.