L’Affaire Dreyfus ha segnato la storia francese ed europea di inizio ‘900. Dal 1894 al 1906 in Francia non si parlava d’altro e il Paese fu lacerato in due fazioni opposte. Ma in Italia come fu commentato il caso? Vi riportiamo il racconto e i commenti di alcuni giuristi italiani dell’epoca che, sbirciando dietro il sipario francese, presero anch’essi posizione. Non si trattò di una divisione solamente politica, ma sociale e soprattutto culturale, tanto che all’epoca si parlava dell’affare Dreyfus come una ‹‹montatura semita››. Noi abbiamo scelto di raccontarvi il pensiero degli antidreyfusiani.
Il 13 gennaio 1898 il celebre intellettuale Émile Zola pubblicava sul giornale socialista Aurore il famoso articolo J’accuse, prendendo le difese dell’ufficiale Alfred Dreyfus, condannato e degradato con l’accusa di spionaggio a danno della Francia. L’opinione pubblica era ferocemente spaccata in due tra chi ne sosteneva l’innocenza e chi lo considerava un traditore, ma cosa si diceva nel nostro Paese? Abbiamo deciso seguire tutta la vicenda dreyfusiana con gli occhi degli spettatori italiani dell’epoca. Così abbiamo recuperato uno per uno i numeri di Rivista penale di dottrina, legislazione e giurisprudenza pubblicati negli anni salienti della vicenda e recuperando i commenti della redazione antidreyfusiana che passo dopo passo seguì il processo.
Con il senno del poi, e a oltre cento anni dalla vicenda, dopo averne letto, sentito parlare, visto comodamente film, fa una certa impressione.
Procediamo.
La primissima menzione che viene fatta del caso è del dicembre 1894, quando avviene la degradazione militare di Alfred Dreyfus:
‹‹Un Consiglio di guerra a Parigi si è pronunziato sul conto del capitano Dreyfus, ritenendolo colpevole di aver consegnato, nel ’91, a una potenza straniera (la Germania) un documento che le permette d’intraprendere una guerra contro la Francia, e condannandolo alla deportazione perpetua previa degradazione. Al momento della lettura della sentenza il pubblico gridò: “Viva la patria”. Alla cerimonia della degradazione Dreyfus fu apostrofato dall’ufficialità al grido di “Giuda”. La folla al di fuori urlava: “A morte”››.
Saltiamo poi al novembre del 1897: Dreyfus ormai è da due anni nella colonia penale dell’Isola del Diavolo e intanto a Parigi viene riaperto il suo fascicolo. Émile Zola, già un anno prima del famosissimo J’accuse, pubblica sul quotidiano Le Figaro un articolo in cui giustificava il suo impegno nella difesa di Dreyfus. E mentre Zola invocava il suo amore per la verità, sul suolo italiano le correnti “antidreyfusarde” francesi avevano diffuso una certa “leggerezza” nell’analizzare il caso. Il trafiletto è pubblicato subito dopo la notizia dell’ennesimo diniego a una donna per l’accesso alla avvocatura.
‹‹Ma ciò che appassiona la Francia in questo momento non è la questione delle donne avvocate, bensì l’affare Dreyfus, con interessamento, può dirsi, di tutto il mondo vecchio e nuovo: effetto, forse, di una grande montatura semitica. Si vuole che il capitano Dreyfus, condannato per tradimento, e attualmente deportato all’Isola del Diavolo, sia una vittima. Si è a tal uopo costituito un sindacato per ottenere la revisione del processo e la liberazione del preteso innocente. Portata la questione in Parlamento, franche e recise furono le dichiarazioni del presidente del Consiglio e del Ministro della guerra escludenti l’ipotesi di un errore giudiziario, ma anche dopo quelle dichiarazioni, dopo il voto della Camera, il movimento non à cessato un istante, e la questione va sempre più ingrandendosi. E proprio il sentimento della giustizia che à determinato quest’agitazione? Magari lo fosse! Intanto un’accusa, dal fratello del capitano, è stata lanciata contro un maggiore, che sarebbe il vero traditore: un’inchiesta è stata aperta. L’esito di questa inchiesta potrà recare qualche lume. Le prove dell’innocenza di Dreyfus si attendono ancora. Per ora (ripetiamo) a noi pare di non vedere altro che della montatura››.
Nel dicembre 1897 la nostra Rivista penale riporta l’ennesima conferma che no, non può esistere una “questione” Dreyfus, nonostante fosse stata valutata sia dalla Camera che dal Senato:
‹‹In Francia, in seguito a un voto contrario avuto in Senato, il guardasigilli Darian à dato le sue dimissioni. Gli è succeduto il senatore Milliard. L’affare Dreyfus è stato portato alla Camera e al Senato. Alla Camera, il presidente del Consiglio (Méline), rispondendo a un’interrogazione, dice che non può esservi una questione Dreyfus. Ciò vien ribadito dal gen. Billot, ministro della guerra. Si finisce con l’approvare l’ordine del giorno Lavertujon, con 500 voti contro 18, che afferma il rispetto per la cosa giudicata e rende omaggio all’esercito, e successivamente un’aggiunta all’ordine del giorno stesso, la quale biasima severamente gli autori dell’odiosa campagna intrapresa per turbare la coscienza pubblica. Benissimo!
Al Senato interpella il Governo uno dei capoccia del baccano per Dreyfus, il senatore Scheurer-Kestner. Alle esplicite e nette dichiarazioni del Governo segue l’approvazione ad unanimità di un ordine del giorno che vi fa plauso, esprimendo piena fiducia nell’esercito e nella giustizia››.
Anche nei numeri della Rivista penale di gennaio troviamo continui riferimenti al caso, caratterizzati sempre da una matrice antidreyfusiana che continua a negare la serietà dell’affaire. I sostenitori dell’innocenza di Dreyfus, e Zola in prima linea, sono considerati dei complottisti affetti da “dreyfuseide” acuta, una sorta di mania allucinatoria:
‹‹Il capitano Dreyfus, di cui tutto il mondo si occupa da più settimane, è relegato a vita, com’è noto, all’isola del Diavolo. I giornali ànno descritto la condizione orribile in cui si trovano i deportati in quella isola, e i disperati quanto inutili tentativi della famiglia per preparare al capitano Dreyfus i mezzi di evadere. I giornali francesi dicono che ciò non è umanamente possibile. E perciò ci sembra interessante dire come, una volta, alcuni detenuti politici siano riusciti ad evadere dall’isola del Diavolo, tanto più che degli evasi fece parte un italiano, certo Pianori, cugino di quel Pianori che il 14 aprile ‘55, ai Campi Elisi, attentò alla vita di Napoleone III››.
‹‹In Francia va notata una circolare del Guardasigilli ai procuratori generali sull’applicazione della legge 8 dicembre ‘97. Alla Camera interpellanza De Mun sui provvedimenti che intende prendere il Governo in seguito alla pubblicazione nell’Aurore della lettera aperta di Zola al presidente della Repubblica. Méline (presidente del Consiglio) dichiara che deferirà Zola alla giustizia. La Camera applaudisce. È approvato un ordine del giorno di fiducia››.
Quando poi il 13 gennaio 1898 Zola pubblica il suo celebre articolo (lo trovate qui tutto in italiano) la rivista così commenta:
‹‹La “dreyfuseide” si acuisce. Già accennammo all’accusa lanciata contro un maggiore quale autore del ‹‹bordereau» scritto su carta velina e non firmato, che fu la base dell’accusa contro l’ex-capitano Dreyfus. Si è fatto il processo a questo maggiore o comandante (come dicesi oltralpe); si è costituito apposito Consiglio di guerra; si è svolto il dibattimento, e in esito al medesimo il comandante Carlo Ferdinando Maria Walsin Esterhazy è stato prosciolto. Se a questo dibattimento si fosse data la maggiore pubblicità e il gran pubblico avesse potuto persuadersi che l’Esterhazy non à scritto il «bordereau», la questione sarebbe sepolta, malgrado il sindacato e i danari di cui dispone. Ma con la pubblicità limitata si è dato buon giuoco ai dreyfusisti, per trascinare ancora avanti la loro campagna. E il colmo è stato l’intervento di Zola, il quale in una lettera al presidente della repubblica à accusato mezzo mondo per discolpare il Dreyfus… e per finire egli stesso sul banco degli accusati. La lettera di Zola fu pubblicata nell’Aurore, sotto il titolo a caratteri cubitali: «Io accuso». Il noto romanziere rifà in forma molto vibrata, e a modo suo, la storia del processo che condusse alla condanna di Dreyfus e la storia del processo attuale che finì con l’assoluzione di Esterhazy. Egli afferma che, essendosi scoperto dallo stato maggiore che comunicazione di documenti relativi all’esercito era stata fatta a una Potenza estera, e volendosi trovare il colpevole, il colonnello Paty de Clam inventò la colpa di Dreyfus. Lo stato maggiore si fece complice del Paty, e il processo contro Dreyfus fu un processo fatto in famiglia, appartenendo tutti al Ministero i componenti lo stato maggiore. Lo stesso si ripeté per il processo Esterhazy››.
‹‹E veramente, se si trattasse di una vittima innocente e di abbattere il militarismo, ci sarebbe da plaudire all’opera di Zola; ma noi non ci fidiamo delle parvenze e dei falsi miraggi, guardiamo addentro alle cose: non escludiamo il dubbio sulla colpabilità del relegato all’isola del Diavolo, ma tanto meno escludiamo il dubbio che i moventi di questa campagna siano proprio la sete della giustizia e la guerra al militarismo nefasto. Quello poi che non comprendiamo affatto è che ci si scalmani tanto anche in Italia per la giustizia e contro l’ingiustizia militare, quando, per tacer d’altro, si fu tanto docili e remissivi, anzi si applaudi alle prodezze dei tribunali-giberna consule Crispo››.
Nel febbraio 1898 si discute il processo di Émile Zola e la nostra Rivista sarcasticamente richiama all’attenzione del lettore la clamorosa «débâcle» dei partigiani dreyfusiani:
‹‹Alla Camera dei deputati, in Francia, appena finito il processo Zola, il presidente del Consiglio dei Ministri (Méline), accetta la discussione delle interpellanze sull’affare Dreyfus, e fa dichiarazioni franche e precise nel senso di voler porre argine al perturbamento che travaglia il paese, richiedendo, se la legge fosse insufficiente, altri provvedimenti. È approvata una mozione perché il discorso di Méline venga affisso a tutti i Comuni della Francia, e quindi con immensa maggioranze si vota l’ordine del giorno puro e semplice››.
‹‹La Corte d’assise della Senna, in seguito al verdetto dei giurati, condannava Emilio Zola a un anno di carcere e tremila lire di ammenda (il massimo della pena), e il gerente dell’Aurore a quattro mesi di carcere e tremila lire pure di ammenda. Verdetto e sentenza furono accolti con uragani di applausi e grida fremebonde di «morte agli ebrei». La condanna, per chi consideri obbiettivamente e serenamente le cose, era inevitabile; perché non bisogna dimenticare che l’accusa contro Zola rifletteva il fatto di aver egli imputato al secondo Coniglio di guerra, quello che mandò assolto Esterhazy, di aver giudicato in tal modo dietro ordine del Ministro della guerra. La querela del Ministro era limitata a questo punto. Ben lo fece rilevare l’avv. gen. Van Cassel, che sostenne freddamente ma rigidamente l’accusa, notando appunto che di tale asserto calunnioso nessuna prova si era prodotta. E difficile, soggiungiamo noi, anzi impossibile, anche se vero il fatto, sarebbe stata il produrla. Dreyfus era fuori di causa, o lo si era dichiarato per il solito omaggio alla cosa giudicata. Ma i dreyfusisti vollero trar profitto dal processo per la loro campagna; ed ebbero la peggio, fu per essi una «débâcle». Comunque, c’è sempre da augurarsi che su questa montatura della questione Dreyfus il processo Zola abbia posto la pietra sepolcrale. Del resto, se Dreyfus fosse veramente innocente, ben triste servizio gli avrebbero reso i suoi partigiani con la loro inconsulta agitazione, che, finora, non à approdato ad altro che a rendere impossibile una revisione del processo, a meno che non si rifaccia la legge››.
Nel maggio 1898 sappiamo che:
‹‹Alla Corte d’assise di Versailles, il 23 maggio, avrebbe dovuto trattarsi in sede di rinvio la causa Zola; ma, essendo stata sollevata l’eccezione d’incompetenza e la Corte avendola rigettata, l’accusato dichiarò di ricorrere in cassazione, per cui il giudizio fu sospeso››.
Nel luglio 1898 Zola e il gerente del giornale socialista Aurore vengono condannati:
‹‹Dietro querela dei membri del Consiglio di guerra che giudicò il comandante Esterhazy, il romanziere Emilio Zola, insieme al gerente dell’Aurore, il giorno 18 luglio, compariva alle Assise di Versailles, per rispondere di offese all’esercito contenute nella famosa requisitoria j’accuse. Col pretesto di volere un dibattimento ampio e libero alla trattazione dei fatti connessi, gli accusati in realtà preferirono di sfuggire al dibattimento, ritirandosene prima dell’estrazione del giuri. Onde si procedette senza giurati in contumacia. Furono entrambi condannati a un anno di carcere e a 3 mila franchi d’ammenda. Zola tornò a Parigi scortato dai gendarmi a cavallo, per tema che la popolazione irritata gli facesse qualche brutto scherzo. Ma tutto si limitò alle solite grida di «abbasso Zola», «abbasso gli ebrei». Qualche giorno dopo Zola lasciava la Francia. Magari la lasciasse in pace!
Il 9 luglio al Tribunale della Senna gli stessi Zola e Perreux, il gerente, erano stati condannati per diffamazione a danno dei periti accusati di falso nel famoso j’accuse››.
Tra ottobre e novembre 1898 l’affaire Dreyfus attraversa una nuova fase: la revisione del caso… sarà quella definitiva? Vediamo cosa riporta la Rivista penale:
‹‹La “questione Dreyfus” è entrata in una nuova fase, quella della revisione; ed ecco, nel suo testo integrale, la sentenza che la Corte di cassazione francese à emanato, in data 29 ottobre dello scorso anno:
“Vista la lettera del Guardasigilli del 27 settembre 98;
Vista la requisitoria del proc. gen. della Cassazione, denunciante alla Corte la condanna pronunziata dal primo Consiglio di guerra di Parigi il 22 dicembre ‘94 contro Alfredo Dreyfus, allora capitano di artiglieria addetto allo stato maggiore dell’esercito;
Visti i documenti del processo;
Visti parimenti gli articoli 443, 444 e 445 del cod. di proc. pen., modificato dalla legge dell’8 giugno ‘95.
1° Sulla ricevibilità, nella forma, della domanda di revisione:
Considerando che la Corte ne è stata richiesta dal suo procuratore, in virtù dell’ordine espresso del Ministro della giustizia, il quale agisce dopo aver sentito il parere della Commissione istituita con l’art. 444;
Che la domanda rientra nei casi preveduti nell’ultimo paragrafo dell’art. 443; che essa venne introdotta nel tempo fissato dall’articolo 444; che, infre, la sentenza di cui si domanda la revisione à forza di cosa giudicata.
2° Sulle condizioni della procedura:
Considerando che i documenti presentati non mettono la Corte in grado di giudicare in merito, e che vi è luogo a procedere ad una istruttoria complementare:
Per questi motivi, la Corte dichiara ricevibile la domanda nella forma:
Dichiara che sarà proceduto da essa Corte ad un’istruttoria suppletoria;
Dichiara non esser luogo a statuire per ora sulla domanda del proc. gen, tendente alla sospensione della pena.”
Lasciando stare l’importanza che questa sentenza può avere dal punto di vista della opportunità politica, in ordine a che, in ogni modo, è notevole l’avere la Corte ordinato e assunto essa stessa l’istruzione suppletoria, mentre, in forza dell’art. 445 cod, istruz. crim., avrebbe potuto procedere per delegazione ad altri magistrati; dal punto di vista giuridico va innanzi tutto notato che tale risoluzione della questione dreyfusiana è stata possibile solo in virtù delle modificazioni apportate all’art. 443 del codice d’istruzione criminale dalla legge 8 giugno ‘95. Per essa, infatti, alle altre ipotesi prevedute nell’art. 443 per l’ammissibilità della revisione (corrispondenti a quelle degli articoli 688, 689, 690 c. p.p. italiano) fu aggiunta l’altra: «Art. 443. La revisione potrà essere domandata: n. 4° allorché, dopo una condanna, un fatto verrà a prodursi o a rivelarsi o allorché saranno presentati documenti sconosciuti al tempo del dibattimento, di natura tale da stabilire l’innocenza del condannato». Veramente, la Corte, avendo ordinato un’istruttoria complementare, non pare che abbia creduto all’esistenza certa e obiettiva di un fatto nuovo di tale natura, quali si vollero considerare il falso di Henry e i risultati della perizia calligrafica nel processo del ‘97 contro Esterhazy, dichiarante il carattere del famoso bordereau decalcato da Dreyfus su quello di Esterhazy. Sempre a proposito del processo Dreyfus è sorta in questi ultimi giorni, un’elegante questione di diritto. Gli avvocati difensori ànno fatto domanda di essere rappresentati presso Dreyfus, nel momento in cui verrà interrogato. Ora la recente legge francese dell’8 dicembre ’97 dispone bene che gli avvocati assistano i loro difesi, negli interrogatori a cui vengono sottoposti durante l’istruttoria, ma non contiene nessuna speciale disposizione circa le indagini che si fanno a scopo di revisione. La Cassazione deciderà questa importante questione giuridica, non dubitiamo, in senso affermativo dell’ammissibilità dell’assistenza defensionale anche in questo caso, in virtù del principio della eadem ratio legis››.
- Curiosità giuridiche da ogni tempo e luogo
- Adele Pertici: la prima notaia
- La clausola degli spettri e altre storie di fantasmi in tribunale
- 9 agosto 1883: Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Torino ammette Lidia Poët
- Il Codice di Hammurabi
Nel gennaio e febbraio 1899 in Francia si respira un’aria di tensione politica molto pesante: il presidente della Repubblica Félixe Fuare, forte sostenitore degli anti-dreyfusardi, muore improvvisamente. Come se non fosse rilevante, la nostra fonte ci racconta un fatto di cronaca intitolato: “Una vittima della Dreyfuseide”.
‹‹Il deputato antidreyfusista Paulmier aveva scritto una lettera al Ministro della guerra invocando rigori contro i denigratori dell’esercito. L’indomani sulla Lanterne gli fa osservato che era strano che egli si prendesse tanta cura dell’onore altrui; mentre non curava il proprio, col racconto di qualche aneddoto al riguardo. La signora Paulmier, letto questo, corse armata alla redazione del giornale, e non trovatovi il direttore Millerand, assestò un colpo di rivoltella al segretario Olliver, che fu gran mercè se scampò la vita. Tradotta in giudizio, si dichiarò dolente di aver colpito un innocente, nello stato di concitazione in cui si trovava, non per sé, mia per l’onore della propria figlia. L’autore dello scritto si dolse pure, ma non troppo profondamente, di averlo vergato; e il direttore Millerand deplorò di averlo pubblicato. I giurati delle Assise della Senna pronunziarono un verdetto di non colpabilità. La Corte aggiudicava egualmente ad Ollivier 15 mila lire a titolo di danni››.
Nel marzo 1899 entra in gioco Georges Picquart, che già nel 1896 aveva dimostrato l’innocenza di Dreyfus e accusava di tradimento il maggiore dell’esercito francese Esterhazy:
‹‹Di proposito non parlavamo più ‹‹dell’affare Dreyfus», per la nausea, il disgusto che destano non più soltanto i dreyfusisti, ma anche gli antidreyfusisti: è tutto un putiferio, da una parte e dall’altra, ma non possiamo serbare silenzio su uno dei tanti episodi della lunga, eterna procedura che dovrebbe menare alla condanna di tutti i mestatori, sobillatori e corifei di questo imbroglio. Non riguarda Dreyfus, ma il tenente colonnello Piequart, nome non nuovo in queste pagine, riguardo al quale, detenuto e accusato di avere commesso un falso per salvare Dreyfus, la Corte di cassazione ebbe a decidere la questione, come dicesi oltralpe, di «règlement de juges», vale a dire di competenza, se dell’Autorità giudiziaria ordinaria o del Consiglio di guerra. E la risolvè in quest’ultimo senso››.
Vi riporto inoltre un fatto di cronaca inserito nel contesto del dreyfusismo, datato marzo 1899:
‹‹La Corte d’assise della Senna, in seguito al verdetto dei giurati, assolveva Urbano Gohier, giornalista, e Nathanson, editore, accusati di offese all’esercito in un libro scritto dal primo e pubblicato dal secondo sotto il titolo: L’armée contre la nation. Un episodio anche questo della lotta vivissima che in Francia si combatte contro il militarismo e che meriterebbe le simpatie universali se, disgraziatamente, non facesse capo… al dreyfusismo››.
Ricevuta la grazia nel settembre 1899, fu solo il 12 giugno del 1906, dopo 12 tragici anni, che veniva annullato definitivamente il verdetto di Rennes, inoltre il 13 luglio dello stesso anno, il Parlamento reintegrò Dreyfus nell’esercito. Si concludeva così la storia di uno dei più ingiusti errori giudiziari di sempre.
Con freddo entusiasmo, la Rivista penale, che per tutti quegli anni aveva avallato l’errore, liquidò così l’affaire Dreyfus:
‹‹La Corte di cassazione di Francia, nei primi di luglio, in presenza di pretesi fatti nuovi, chiamata a deliberare sulla revisione del processo Dreyfus, annullava, invece, senza rinvio la sentenza del Consiglio di guerra di Rennes, 9 settembre 1899, che aveva condannato alla pena di dieci anni di detenzione, tosto condonatagli per grazia, il noto capitano Dreyfus››.
© Riproduzione Riservata