Gennaro Romano era un avvocato milanese, forse con origini altrove, che praticava il foro ambrosiano prima della guerra. Sicuramente viveva in centro, con casa o ufficio in via Passarella 26 (potevate raggiungerlo anche chiamando il numero di telefono 20-91), prima di spostarsi in un palazzo in via Carducci 20: un civico che non esiste più, col palazzo abbattuto o dalla guerra o dalla speculazione edilizia degli anni ’50.
Ma noi siamo qui riuniti per parlare di quanto Gennaro Romano fosse uomo avanguardista: infatti nell’estate del 1922 fondò una rivista di critica totale al mondo della giustizia che durò letteralmente una stagione: non arrivò a vedere la marcia su Roma.
Già il nome era tutto un programma: La toga: beffa giudiziaria. Ebdomadario satirico burlesco di cronaca e di polemica criminale.
Vi confesso che ho guardato sul dizionario per scoprire che “ebdomadario” vuol dire “settimanale”.
In questo “ebdomadario”, gestito tutto da Romano, questi si divertiva a travasare tutta la sua bile per il funzionamento del sistema giudiziario. Non ce n’era per nessuno: magistrati e avvocati, ma anche il pubblico di cittadini che voleva prevedere e influenzare l’andamento dei processi senza capire un’acca di diritto.
In questo bailamme, una mente di diamante come l’avvocato Gennaro Romano non poteva che partorire il primo meme della storia giuridica italiana. Ve lo portiamo sul vostro schermo:
Il cliente è un pulcino. Un essere indifeso che vale meno di un pollo da spennare. Ovunque guardi si trova minacciato da altre figure. Prima di tutte c’è la Giustizia, un leone col tocco pronto a sbranarlo. Dall’altro lato, forse perché è anche all’opposto della giustizia, c’è la Legge, autoritaria, rappresentata da due lucerne dei carabinieri.
E poi troviamo un lungo serpente a rappresentare le insidie giudiziarie; il giurato che è un gallo, quindi sempre pronto a cantare ma alla fine un pulcino più cresciuto. Gli appaltatori di cause, cioè quelli che ti spingevano nella tagliola dei processi con le loro ciance e infine, ovviamente, la difesa, che non è niente di meno che un silenzioso e ferace coccodrillo.
Le motivazioni di queste scelte? Perché Romano ci parla proprio del cliente, e non dell’imputato o di chiunque si trovi alla sbarra del tribunale? Ma poi, avrebbe raffigurato anche se stesso in qualità avvocato della difesa come l’incarnazione di un coccodrillo?
Al momento non lo sappiamo e probabilmente non lo sapremo mai. Chissà se questo meme nel giugno del 1922 diventò pure virale.
© Riproduzione riservata