La vita
Ascarelli nacque a Roma il 6 ottobre 1903 da Attilio, medico legale e libero docente all’Università di Roma, e da Elena Pontecorvo: discendeva per parte di padre da un’illustre famiglia di ebrei sefarditi stabilitasi a Roma nel XVI secolo, e per parte di madre da una famiglia di importanti industriali tessili di Pisa.
Le sue straordinarie doti precoci gli consentirono di iscriversi all’università a sedici anni e di laurearsi prima di compierne venti.
Frequentò la facoltà giuridica romana, che al tempo era una fucina di menti e dove gli furono maestri, tra gli altri, Vittorio Scialoja (qua il suo giornopergiorno) e Giuseppe Chiovenda.
Nel 1923 collaborò alla neonata rivista mensile «Studi politici» di Paolo Flores e al settimanale «La rivoluzione liberale» di Piero Gobetti, e condusse una non irrilevante attività di editorialista sulla stampa quotidiana, in particolare su «Il popolo» di Roma, organo del Partito popolare italiano.
L’eccezionale curriculum e i primi lavori gli procurarono ben presto incarichi, premi e borse di studio. Già alla fine del 1924 – appena ventunenne – fu incaricato dell’insegnamento del diritto commerciale all’Università di Ferrara. Sempre nel 1925 a Ferrara conseguì la libera docenza di diritto commerciale, e un anno dopo vinse il concorso a professore di ruolo. Negli anni 1925-26, mentre insegnava a Ferrara, tenne anche l’incarico di diritto commerciale all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Nel 1926 passò a Cagliari, dove insegnò anche diritto marittimo. Con una borsa di studio, nel 1927 poté recarsi in Germania. Nel 1929 fu chiamato dall’Università di Catania dove, nell’aprile del 1930, fu promosso ordinario. Nel 1932 passò a Parma e l’anno successivo a Padova, dove tenne prima la cattedra di diritto marittimo e poi quella di diritto commerciale. Nel 1935, infine, ottenne il trasferimento alla cattedra di diritto commerciale di Bologna.
Ma iniziava a essere controllato dalla polizia politica, e nel 1938 fu costretto all’esilio a causa delle leggi razziali promulgate nel settembre di quell’anno. Fuggì prima in Gran Bretagna e poi in Francia, dove lo raggiunse la famiglia e dove frequentò l’Università di Parigi, conseguendo il 6 giugno 1940 il doctorat de droit commercial, nella speranza di ottenere colà un posto di docente; ma pochi giorni dopo, il 14 giugno, anche Parigi fu occupata dai nazisti, e Ascarelli dovette scappare: attraverso Spagna e Portogallo raggiunse il Brasile.
Lì gli fu offerto un incarico all’Università di San Paolo e avviò un importante studio legale.
Nonostante il profondo radicamento in Brasile, nel 1946 tornò in Italia e riprese a insegnare a Bologna, seppure tra grandi difficoltà e in un ambiente prevalentemente ostile. Mantenne tuttavia a San Paolo sia la famiglia sia alcuni rilevanti incarichi professionali. Nel 1953 fu chiamato sulla cattedra di diritto industriale dell’Università di Roma, e poté così spostare definitivamente in Italia la dimora familiare e il centro dei suoi interessi; al Brasile avrebbe comunque continuato a dedicare, fino alla morte, i mesi estivi di ogni anno.
Da allora si moltiplicarono i progetti di ricerca, le pubblicazioni, le iniziative editoriali, gli incarichi, le conferenze e i corsi di lezioni, nonché i riconoscimenti in Italia e all’estero (divenne, tra l’altro, socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei).
Nell’ottobre del 1959 fu chiamato dalla facoltà giuridica romana a ricoprire la cattedra di diritto commerciale che era stata del suo maestro Vivante. Ma sopraggiunse improvvisa la morte, il 20 novembre 1959.
Le riflessioni sul metodo e la teoria dell’interpretazione
Per Ascarelli l’interpretazione non presuppone un corpus juris o un ordinamento dato ma lo compone; la norma assume necessariamente il significato che l’interprete, costruendo le categorie tipologiche in vista della riconduzione della sempre mutevole realtà alle fattispecie astratte, le conferisce; l’attività dell’interprete è dunque creativa e non semplicemente logico-deduttiva; tuttavia, si tratta non di attività libera, bensì vincolata ai valori che, nel momento storico, la società esprime: l’interprete infatti deve fornire soluzioni che si pongano in rapporto di «continuità col dato dal quale prende le mosse» e quindi con i principi e valori fino ad allora espressi; la società a sua volta è influenzata dal diritto, che è una delle voci del dialogo di cui si intesse la storia; di qui la visione storicistica del diritto.
In definitiva, l’interprete, e cioè il giurista, vive nella storia, ne è influenzato ma contribuisce al suo sviluppo e dell’opera del legislatore realizza una continua evoluzione, giammai una rivoluzione; «il giurista prenderà così dalla storia il suo punto di partenza e tornerà a guardare alla storia nel suo punto di arrivo».