6 Giugno 1861 – Muore Cavour
Cavour è forse lo statista italiano di più spiccata levatura europea del diciannovesimo secolo.
Già deputato, assunse plurimi incarichi in ministeri di punta e divenne presidente del consiglio quattro volte sin dal 1852. Si distinse come esponente risorgimentale, artefice e stratega diplomatico dell’impresa garibaldina e della proclamazione dell’unità di Italia. Fu un fervido sostenitore della progettualità italiana unitaria sotto il controllo monarchico sabaudo e di alcune tra le più pervasive mutazioni strutturali del Regno di Sardegna nel Regno d’Italia. Caldeggiò operosamente l’ascesa di Vittorio Emanuele II, proclamato Re d’Italia nel 1861. Profuse il suo impegno anche nelle trattative volte ad equilibrare i rapporti con la Chiesa, non riuscendo però a vederne la concretizzazione perché morì il 6 giugno del 1861, nel momento di più acclarato potere e successo personale.
Essendo di nobile ascendenza, Cavour viene in giovane età destinato alla carriera militare, ma fu radiato per la sua incapacità di osservare il rigore ortodosso degli ambienti consacrati alle armi. Si dedicò quindi all’amministrazione del patrimonio di famiglia, cooperando alle iniziative dei movimenti riformatori subalpini. Iniziò il percorso di pubblicista per la Bibliothèque universelle, la Revue nouvelle e l ‘Antologia Italiana di Torino, per poi fondare il giornale moderato “Il Risorgimento”, che segnò il suo debutto politico. Dopo le Cinque giornate di Milano iniziò ad esternare le sue posizioni politiche sul versante domestico nonché esterno. Celebri restarono i pensieri espressi nel famigerato articolo, L’ora suprema della monarchia sabauda, con cui incitava Carlo Alberto a soccorrere Milano e prenderne le redini. A suo dire: “L’ora suprema per la monarchia sarda è suonata, l’ora delle forti deliberazioni, l’ora dalla quale dipendono i fati degl’imperi, le sortì dei popoli. In cospetto degli avvenimenti di Lombardia e di Vienna, l’esitazione, il dubbio, gl’indugi non sono più possibili; essi sarebbero la più funesta delle politiche. Uomini noi di mente fredda, usi ad ascoltare assai più i dettami della ragione che non gl’impulsi del cuore, dopo di avete attentamente ponderata ogni nostra parola, dobbiamo in coscienza dichiararlo: una sola via è aperta per la nazione, pel governo, pel re. La guerra!”
Il lascito di questo gigante a cui si attribuisce la paternità unitaria esorbita dai singoli successi politici raggiunti nel corso del costante impegno profuso attraverso le cariche assunte, che gli consentirono di consegnarsi alla storia come statista illuminato. Tra le tante operazioni di pregio precedenti alla proclamazione del Regno e alle guerre d’Indipendenza si rammentano anche la partecipazione alla guerra di Crimea e l’alleanza suggellata con Napoleone III.
Lo ricordiamo come straordinario pensatore liberale e appassionato di economia politica, si dedica con passione a problemi teorici e metodologici di questa disciplina, scorgendone l’importanza crinale per le questioni di sua competenza. Sostenne infatti che “Non è più tempo di matematiche; bisogna occuparsi di economia politica”.
Tra le sue tante opere sempre rivolte a questioni di politica interna e internazionale, ricordiamo De la valeur, in cui disquisisce di tematiche economiche legate al lavoro, Scritti inediti e rari e Des chemins de fer en Italie.