Ascari (1927)
Ascari è forse il pilota italiano più forte di tutti i tempi. Di sicuro il più vincente, campione del mondo di Formula 1 per due volte consecutive nel 1952 e nel 1953 alla guida di una fiammante Ferrari. Conoscete un altro pilota italiano che ha fatto di meglio? Inutile cercare statistiche. Nessun altro italiano ha mai più vinto un mondiale dopo di lui. Nel 1951, d’altronde, prima ancora della doppietta iridata, era stato premiato come migliore atleta italiano.
Il suo arcinemico numero uno era Juan Manuel Fangio, El Chueco, anche lui campione del mondo, ma per ben cinque anni: nel 1951 e poi dal ’54 al 57, anche per lui un record, battuto solo cinquanta anni dopo da Micheal Schumacher.
Molti sostengono che Fangio fosse riuscito a collezionare tutti quei successi per un solo motivo. Ascari muore il 26 maggio 1955 a seguito di un incidente nel corso di un giro di prova all’autodromo di Monza a bordo della Ferrari 750. Era già passato alla Lancia, ma non aveva resistito al richiamo del vecchio amore. La curva dove avvenne l’incidente fu ribattezzata “Ascari”. E pensare che appena quattro giorni prima, era scampato a un incidente mortale sulla pista di Montecarlo, quando era rimasto illeso mentre la sua auto si inabissava dopo essere sbandata poco prima del traguardo.
Aveva 36 anni e ora riposa a Milano al cimitero monumentale.
Ma io non volevo parlarvi di Alberto Ascari, ma di Antonio, suo padre.
Classe 1888, veneto, si trasferisce a Milano e inizia a lavorare come meccanico per varie case automobilistiche. Dopo la Grande Guerra si scopre non solo abile collaudatore e meccanico, ma anche portentoso pilota.
Gareggia per la “Società anonima Ing. Nicola Romeo e Co.” dell’Ing. Romeo, appunto, che nel 1915 aveva rilevato l’azienda della Anonima Lombarda Fabbrica Automobili, l’A.L.F.A., di cui rilevò anche il marchio dopo una battaglia legale: Antonio Ascari poté così guidare una Alfa Romeo. Nel 1924, vinse il Gran Premio d’Italia a Monza, da poco inaugurato, raggiungendo la mirabolante velocità di 167 chilometri all’ora, con il tempo complessivo di cinque ore due minuti e cinque secondi, sedici minuti in anticipo rispetto al secondo (e un’ora e mezza sull’ultimo: che tempi!). Quella corsa passò alla storia perché – come riporta Enzo Ferrari nel suo “Piloti, che gente” – gli stessi organizzatori ordinarono a un pilota, che naturalmente era Ascari, di moderare la sua velocità. Gli consegnarono un fonogramma consegnato al posto di rifornimento dell’Alfa, che diceva: “Se Ascari continua a fare curva grande e curvetta in modo pericoloso per sé e per gli altri, dovrei essere costretto a fermarlo. Firmato: Mercanti” (commissario generale e direttore della corsa).
Concesse il bis in Belgio, permettendo all’Alfa Romeo di vincere il suo primo mondiale costruttori, e sfiorò più volte successi in altre importanti competizioni.
Della Romeo, Ascari era anche agente e rivenditore autorizzato con esclusiva per la Lombardia (indovinate chi era quello per l’Emilia-Romagna?). Era prassi all’epoca che ai piloti professionisti fosse assegnato anche il compito di vendere le automobili, previo collaudo e parere tecnico.
Il 26 luglio 1925 si corre il Gran Premio di Francia, a Montlhéry, vicino Parigi, chilometri di gara: mille, ottanta giri del circuito. Al ventitreesimo giro, ascari è già in ampiamente in testa. Al rifornimento gli dicono di moderare la velocità. Ma figurati… Ascari finisce fuori pista e muore.
Aveva 36 anni e ora riposa a Milano, al cimitero monumentale, insieme a suo figlio Alberto.
Lo sconforto degli appassionati alla notizia della morte di Ascari è immensa. Per l’Ing. Nicola Romeo, ancor di più. Aveva perso in un colpo solo il pilota più impavido e gagliardo e, forse, l’agente migliore. Gli restava il contratto sottoscritto con la ditta Antonio Ascari, alla quale sarebbero subentrati gli eredi. Ma che farsene?
L’Ing. Romeo, il senatore fascista capo della scuderia, fa causa agli eredi del povero Ascari, chiedendo la risoluzione del rapporto contrattuale. Di seguito trovate la sentenza della Corte d’Appello di Milano che dà ragione agli eredi (come aveva fatto il Tribunale). È una sentenza bellissima, di cui vi anticipo il bellissimo incipit:
Sullo sfondo di questa controversia si eleva la figura di Antonio Ascari, l’impareggiabile corridore caduto sul campo di corse di Monthery, mentre portava alla vittoria un’automobile Alfa Romeo, confermando ancora una volta in faccia al mondo le inesauribili virtù di nostra stirpe.
Sappiate solo che a fine 1925, l’Ing. Romeo dichiarò alla assemblea degli azionisti: “Quando il corridore diventa un trionfatore riesce impari la discussione finanziaria con il medesimo nella sua qualità di agente”.
Il piccolo Alberto aveva appena 6 anni. E pensare, che da lì a qualche anno sarebbe diventato il più forte di tutti, a bordo delle automobili di Enzo Ferrari, che chiamava “maestro” il suo compagno di squadra alla Romeo: Antonio Ascari.
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