Il canto del cigno della Prima Repubblica iniziò con la nascita del primo esecutivo a guida socialista: il Governo Craxi I. La coalizione di governo si compattò consolidando la formula del Pentapartito (Dc, Psi, Pri, Psdi e Pli) dopo i precedenti due esecutivi guidati da Giovanni Spadolini (primo laico a Palazzo Chigi). L’esecutivo guidato dal segretario socialista avrebbe però stabilito il record di longevità per una compagine governativa a Costituzione vigente (fino ai Governi Berlusconi II e IV che lo avrebbero superato), durando per ben 3 anni sino all’agosto 1986: la formula del Pentapartito si affermò, così, definitivamente come nuovo e principale meccanismo convenzionale per l’indirizzo politico di maggioranza.
L’incarico venne affidato dal Presidente Pertini, il quale con Craxi non ebbe mai un buon rapporto dal punto di vista politico (contando che quest’ultimo osteggiò con particolare evidenza una salita di Pertini al Colle). Al momento dell’incarico per Craxi il Presidente ripagò i dispetti con la stessa moneta al momento della convocazione del segretario socialista al Quirinale per l’incarico: Craxi si presentò al Quirinale in jeans e Pertini lo rimandò a cambiarsi raccomandando caldamente allo statista milanese di non ripetere un simile gesto…!
Malgrado le antipatie con Pertini, Bettino Craxi potenziò la sua leadership politica all’interno dello scenario istituzionale italiano conducendo un’azione di governo molto risoluta in più frangenti di politica interna e politica estera. Lo stesso ottenimento dell’incarico fu il risultato finale di una forte opera di pressione politica, approfittando del periodo di assestamento della nuova segreteria Dc, diretta da Ciriaco De Mita. Craxi riuscì ad inserirsi come homo novus capace di comporre le frammentazioni all’interno dei vari schieramenti pentapartitici e le difficoltà della Dc, facendo leva sul risultato emblematico delle elezioni politiche del 1983, in cui il Psi raggiunse l’11% con la Dc che riscontrò una drastica perdita di 5 punti percentuali (si attestò al 33% circa). Il risultato delle elezioni consentì al Governo Fanfani V, nato sotto l’egida della decantazione politica a seguito delle continue litigiosità che portarono alla fine dell’epopea Spadolini, di passare il testimone ad un governo sì pentapartitico ma in questa occasione non a guida Dc o centrista, dove Craxi si dimostrò il più idoneo candidato agli occhi di Pertini durante le consultazioni.
La maggioranza pentapartitica a guida socialista si dimostrò una formazione ampiamente determinata nel tentativo di dare corso ad un lungo processo di riforme che potessero rilanciare il Paese dal punto di vista economico e sociale a seguito dei drammatici Anni di Piombo. La leadership di Craxi fu attiva, soprattutto, nella politica economica, estera, ma per certi versi anche sul piano istituzionale, dove raggiunse risultati di un certo rilievo. Da un lato, infatti, Craxi contrastò l’inflazione della lira ma non arginò il crescente debito pubblico che raggiunse indici preoccupanti (che avrebbero portato i Governi Amato e Ciampi ad inizio anni Novanta ad operare per un drastico processo di risanamento). Il governo raggiunse poi l’importante risultato della riforma della scala mobile che venne tagliata di tre punti percentuali: la riforma provocò un acceso confronto con il Pci berlingueriano che propose un referendum abrogativo sul taglio. Al referendum i SI non superarono il 50% +1 dei voti, mantenendo vigente il taglio operato da Craxi.
In politica estera i risultati portarono ad alcuni avvicendamenti storici di ampia portata come la cd. “crisi di Sigonella” (risolta con prese di forza diplomatico-militari di un certo rilievo verso gli USA) e la “crisi missilistica” verso Lampedusa nel duro braccio di ferro tra USA e Libia, dove anche qui il Presidente del Consiglio si pose in maniera critica verso le politiche statunitensi nell’area mediterranea e nei confronti del regime di Mu’ammar Gheddafi. Dal punto di vista europeo fu di grande importanza l’iniziativa assunta nel Consiglio europeo di Milano del giugno 1985 che diede una spinta decisiva alla riforma dei Trattati di Roma tramite l’Atto Unico Europeo del 1986. In questo periodo l’Italia cercò di inserirsi entro il Patto Atlantico ed europeista senza rinunciare ad affermarsi come punto di riferimento nel Mediterraneo per le nazioni arabe in nord Africa e Medio Oriente.
Gli affari istituzionali rappresentarono altresì un importante punto nell’agenda del Governo Craxi e il leader socialista operò in chiaroscuro anche qui raggiungendo comunque dei risultati storici. In particolare, si fa riferimento alla stipula della revisione del Concordato del 1929 con la Santa Sede, operato nel 1985 (i cd. Accordi di Villa Madama) e l’istituzione informale all’inizio del cd. “Consiglio di Gabinetto”, organismo poi ricompreso nella futura e attuale legge n.400 del 1988 (regolante l’ordinamento e i poteri normativi del Governo), con il compito di fornire un supporto diretto alla direzione centralizzata del Presidente del Consiglio e di concentrare i meccanismi decisionali del Governo entro un unico canale istituzionale. Se, da un lato, vi fu la fisiologica esigenza di mantenere compatta una compagine governativa variegata, sicuramente l’idea di Craxi contribuì a fornire importanti parametri dei mutamenti della forma di governo parlamentare italiana, dove il Governo da mero “comitato esecutivo” della maggioranza parlamentare si iniziò ad affermare come “comitato direttivo” della maggioranza parlamentare (facendo capo alle teorie di Giuseppe Maranini e Leopoldo Elia). Mentre nelle riforme costituzionali, pur non delegittimando l’attività della Commissione Bicamerale istituita nell’aprile 1983 con a capo l’On. Aldo Bozzi, non si arrivò ad alcun risultato concreto nei progetti di revisione costituzionale.
La parabola del Governo Craxi discese nel 1986 a causa dei crescenti contrasti con la Dc e soprattutto con Ciriaco De Mita, più favorevole ad un dialogo con il Pci che con il Psi. L’esponente Dc rivendicò in particolar modo l’esistenza di un sottinteso “patto della staffetta” in cui la permanenza a Palazzo Chigi di un esponente pentapartitico fosse a tempo e da assegnare, in questo caso, all’alternanza tra Psi e Dc alla guida del governo. Tra il 1986 e il 1987 De Mita riuscì ad ottenere grazie anche ai non veti del nuovo Presidente della Repubblica, Cossiga, a far valere la staffetta che si sostanziò nei Goria, De Mita e Andreotti VI dopo la seconda esperienza di Craxi all’esecutivo.
Furono gli ultimi sussulti del sistema partitico post Seconda Guerra mondiale in attesa del suo disfacimento con il crollo del Muro di Berlino e con l’uragano Tangentopoli, in cui Craxi avrebbe trovato la sua fine politica.