31 Maggio 1962 – L’esecuzione di Eichmann
Adolf Eichmann se ne stava al banco dell’imputato protetto dai suoi tic e dai suoi cliché, quei codici di condotta cui gli uomini fanno ricorso per proteggersi dalla realtà. Quando parlava, non dava prova di grande intelligenza, né di particolare stupidità. Egli sorprendeva precisamente per la sua disarmante ordinarietà. Deludente, se si considera che era stato anche una pedina importante della politica del regime nazista, in quanto responsabile dell’organizzazione dei trasferimenti degli ebrei verso i campi di concentramento e di sterminio. Scappato in Argentina nel 1945, era quindi scampato al processo di Norimberga, i cui imputati, credendolo morto, scaricarono su di lui molte delle accuse, attribuendo al suo ruolo una centralità lontana da quella che aveva in realtà ricoperto durante la guerra. Ripescato dal suo rifugio argentino dai servizi segreti israeliani e trasportato clandestinamente in Israele, venne sottoposto al Processo di Gerusalemme nel 1960.
Coinvolto nel partito nazista senza convinzione, e fattosi strada nella carriera militare per inerzia, fu piuttosto responsabile nel suo lavoro per il bisogno di compiacere i suoi superiori. Alla maggior parte delle domande che gli vennero poste dal pubblico ministero, Eichmann rispose “non è stata colpa mia. Dovevo eseguire gli ordini”. Fu questo che lo portò in fondo a collaborare agli efferati crimini contro l’umanità per cui veniva processato. Non una malvagità intrinseca, non una perversa ideologia di fondo, bensì un’attitudine di segno negativo: l’assenza di pensiero. È stata l’intuizione di Hannah Arendt, che assistette al processo di Gerusalemme come inviata per il New Yorker: solo il bene può essere radicale, profondo. Il male, invece, è privo di radici, banale. Non fu la scelleratezza, ma l’assenza di giudizio a consentire a tanti come Eichmann di sottostare a un completo rivoluzionamento degli standard morali senza opporre resistenza.
Il processo di Gerusalemme, come quelli più imponenti che si erano svolti nell’immediato dopoguerra, fece forse un maggior favore alla politica che alla giustizia. Innanzitutto, la scelta di per sé di instaurare il processo in Israele destò perplessità, perché così fu la vittima a giustiziare il suo stesso carnefice. Eichmann non fu, poi, processato esclusivamente per le sue azioni, ma servì da capro espiatorio di tutto l’antisemitismo nazista. Fu un’occasione per il neo-Stato di Israele di consolidare la propria popolarità di fronte agli ebrei sparsi nel mondo, nonché di mettere in cattiva luce i paesi arabi del Medio Oriente, che avevano nutrito simpatie per il nazismo. Nel 1961 Eichmann fu condannato a morte. Il 31 maggio 1962 la pena fu eseguita, primo e ultimo caso di esecuzione capitale in Israele.