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29 luglio 1983 – L’assassinio di Rocco Chinnici

By Maria Giulia De Rosa

July 29, 2021

Era il 29 luglio di quasi quarant’anni fa. Un’autobomba uccideva Rocco Chinnici, magistrato di Palermo, due uomini della scorta e il portiere della sua abitazione.

Una Fiat 127 imbottita di tritolo era stata posizionata davanti alla sua casa, in via Pipitone Federico.

Rocco Chinnici, di Misilmeri, dopo la laurea in Giurisprudenza era subito entrato in magistratura. I casi di cui fin dai primi attimi della sua carriera si occupò furono molti, e delicati. Dalla strage di viale Lazio, all’assasinio di Peppino Impastato, Chinnici seppe dare con dedizione e passione importanti svolte e contributi alle indagini.

Dopo l’assassinio del giudice Cesare Terranova, nel 1979, preso il suo posto, Chinnici divenne capo dell’Ufficio Istruzione del tribunale palermitano.

Si parlava in quegli anni di “seconda guerra di mafia”. I delitti aumentavano. Nel maggio del 1980 venne ucciso il capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Ad agosto il Procuratore Capo di Palermo Gaetano Costa.

Fu per questo che Chinnici decise di creare il“Pool Antimafia.

Pool Antimafia nasceva dall’idea e dalla volontà di dar vita a una struttura composta da più magistrati di esperienza che si occupassero di una stessa indagine, consentendo di distribuire il carico delle inchieste e di collaborare in maniera più proficua. Il nuovo gruppo di lavoro, che qualche anno più tardi permise di istituire il Maxiprocesso a Cosa Nostra, vide ai suoi esordi anche la partecipazione di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe di Lello.

Per l’omicidio del magistrato Rocco Chinnici vennero condannati come mandanti i fratelli Nino e Ignazio Salvo. Il giudice che emise la sentenza, Antonino Saetta, venne ucciso in un attentato insieme al figlio Stefano.

Che Chinnici in fondo al suo cuore nutrisse dubbi e timori, lo si capisce dalle sue parole. Ma dietro quelle parole c’era anche una profonda speranza di cambiamento e fiducia nel genere umano. “Parlare ai giovani, alla gente”, diceva, “raccontare chi sono e come si arricchiscono i mafiosi (…) fa parte dei doveri di un giudice. Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai”.