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28 Novembre 1794 – Muore Cesare Beccaria

By Redazione

November 28, 2021

Giurista, economista e filosofo, Cesare Beccaria fu uno dei massimi rappresentanti dell’Illuminismo italiano. Il suo testo capitale, Dei delitti e delle pene, ha rivoluzionato il diritto penale e posto le fondamenta della scienza criminale moderna.

La vita

Nato a Milano il 15 marzo 1738 da una famiglia di stirpe illustre, Cesare Beccaria ereditò il titolo di marchese.

Compì i suoi primi studi presso i gesuiti del Collegio Farnesiano di Parma, dove già ebbe modo di distinguersi per la sua precoce intelligenza e la predisposizione sia per la matematica che per le lingue; poi passò poi a Pavia, dove si laureò in giurisprudenza.

Tornato a Milano, intraprese una relazione sentimentale con una ragazza della piccola nobiltà squattrinata, Teresa de Blasco, fortemente osteggiata dalla famiglia. Pur di sposarla, Beccaria rinunciò ai diritti di primogenitura e incominciò una vita di coppia funestata da finanze scarse e lutti infantili (solo la figlia Giulia arriverà all’età adulta e sposerà Pietro Manzoni).

Più felice invece la vita intellettuale del giovane Beccaria: a 22 anni, la lettura delle Lettere persiane di Montesquieu accese il suo interesse per le questioni filosofiche e sociali. A questa iniziazione al mondo del Lumi seguirono altre letture importanti: Buffon, Diderot, Hume, d’Alembert, Condillac, ma soprattutto Rousseau.

In questo periodo entrò nel cenacolo di casa Verri e cominciò a scrivere sporadicamente per Il Caffè. Dopo la pubblicazione di alcuni articoli di economia, in particolare sul problema monetario, nel 1764 diede alle stampe a Livorno Dei delitti e delle pene. L’origine del testo deve molto ai fratelli Verri: Alessandro, che esercitava come avvocato, riportava la sua esperienza quotidiana sul sistema penale milanese; Pietro, che era lui stesso impegnato nel dibattito sulla tortura, fu sempre il primo ispiratore, interlocutore e revisore di Beccaria, al punto che taluni ritengono che sia Pietro Verri il vero autore del testo (altri ancora, invece, sostengono che sia stato redatto a quattro mani).

Negli anni successivi, Cesare Beccaria viaggiò a Parigi, dove la sua opera aveva riscosso grandi consensi presso i philosophes, ma non si trovò a suo agio in quel vivace ambiente sociale e tornò volentieri a Milano. Qui divenne docente presso le scuole palatine, poi funzionario pubblico, dedicandosi principalmente ad analisi economiche e problemi annonari.

Si dedicò a importanti riforme, finché un ictus non lo colse nel 1794 all’età di 56 anni. Ai funerali era presente anche il nipote Alessandro Manzoni.

Dei delitti e delle pene

Ispirata a un approccio sensista e laico, l’opera è uno straordinario punto d’incontro tra i principi utilitaristici e una vena umanitaria.

La tesi più forte sostenuta da Beccaria è il rifiuto della pena di morte, non solo e non tanto perché è ingiusta, ma perché è inutile. La condanna a morte, infatti, non costituisce un vero deterrente per il corpo sociale, il quale può abituarsi allo spettacolo dell’esecuzione fino a indurirsi così tanto da diventare a sua volta incline a tale delitto, oppure provare eccessiva compassione per la “vittima” e un senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni.

Inoltre, la condanna a morte è una pena “intensiva”, che produce un effetto momentaneo; più utile risulta invece un tipo di pena “estensiva”, che produce conseguenze durature. Se in questa tesi Beccaria mostra tutto il suo debito verso il sensismo, molto evidente è anche la componente utilitaristica del suo pensiero: la pena detentiva è un monito durevole e persistente per la società e un modo per riparare il danno economico-sociale per il condannato. Il fine della pena, infatti, deve essere in ultima analisi rieducativo.

Anche la tortura è radicalmente condannata. Essa viola la presunzione di innocenza ed è, ancora una volta, inutile sul piano operativo, in quanto di norma induce a false confessioni dettate dalla sofferenza.

L’eredità

L’eco suscitato dall’opera fu enorme, sia in positivo che in negativo. Venne inserita nell’Indice dei libri proibiti, ma raggiunse tutta Europa e fu apprezzata da Voltaire, Diderot e Jefferson, che ne trasse spunto per le nuove norme costituzionali americane.

Lentamente, l’influenza di Beccaria penetrò anche nelle riforme politiche. Nel codice penale che fu promulgato nell’Impero non è assente lo spirito beccariano; Giuseppe II in Austria e Gustavo III in Svezia abolirono la tortura negli anni a venire; Caterina II di Russia progettò una riforma giudiziaria.