Il 30 gennaio 1933, Hitler venne convocato dal presidente della Repubblica e accettò di capeggiare un governo in cui i nazisti avrebbero avuto solo tre ministeri su undici e in cui erano rappresentate tutte le componenti della destra. Gli esponenti più importanti dei conservatori credettero di avere intrappolato Hitler (così come a loro tempo i liberali lo credettero di Mussolini) e di poter così utilizzare il nazismo per un’operazione di pura marca conservatrice. Si sarebbero presto resi conto di avere sbagliato.
Da qui inizia l’operazione di consolidamento del potere di Hitler a scapito delle forze di governo. Se Mussolini per trasformare lo Stato liberale italiano in una dittatura monopartitica aveva impiegato circa quattro anni, a Hitler bastarono pochi mesi per imporre un potere totalitario in Germania.
L’occasione per una pima stretta repressiva fu offerta da un episodio drammatico: l’incendio appiccato al Reichstag, il parlamento nazionale situato proprio nel cuore della capitale, Berlino. L’incendio fu appiccato la notte tra il 27 e il 28 febbraio del 1933, giusto una settimana prima della data fissata per le nuove consultazioni elettorali. Neanche a dirlo, venne subito arrestato un comunista olandese, tra l’altro squilibrato mentalmente, indicato come l’autore materiale dell’incendio. Questo diede al governo il pretesto per un’imponente azione di polizia contro i comunisti. Fu così che migliaia di dirigenti e militanti vennero arrestati e incarcerati e il partito fu praticamente messo al bando. Seguirono poi una serie di misure eccezionali che limitavano o annullavano la libertà di stampa e quella di riunione.
In tarda nottata del 27 febbraio arrivò una telefonata al comando dei vigili del fuoco di Berlino che il Reichstag stava bruciando. A una prima analisi fu praticamente certo che l’incendio venne appiccato da più punti. Quando polizia e carabinieri arrivarono dinnanzi al parlamento, le fiamme erano gigantesche e una grossa esplosione aveva già mandato in fiamme l’aula dei deputati. Alla ricerca di indizi, la polizia trovò Marinus Van der Lubbe, noto agitatore comunista, mezzo nudo, che si nascondeva dietro l’edificio. Poco dopo anche Hitler e Göring arrivarono sul luogo e quest’ultimo dichiarò immediatamente che il fuoco doveva essere stato appiccato dai comunisti e fece arrestare i capi del partito. Inoltre, vennero arrestati e processati i comunisti bulgari Georgi Dimitrov, Blagoj Popov e Vasil Tanev. Hitler si avvantaggiò della situazione per dichiarare lo stato di emergenza e incoraggiare il vecchio Presidente Paul von Hindenburg a firmare il Decreto dell’incendio del Reichstag, che aboliva la maggior parte dei diritti civili forniti dalla costituzione del 1919 della Repubblica di Weimar.
Secondo la polizia, Van der Lubbe aveva sostenuto di aver appiccato il fuoco per protestare contro il sempre maggiore potere dei nazionalsocialisti. Sotto tortura, il comunista olandese confessò ulteriori dettagli, e fu portato in giudizio unitamente ai leader del Partito Comunista all’opposizione.