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28 Dicembre 1964 – Eletto Giuseppe Saragat a Presidente della Repubblica

By Redazione

December 28, 2020

Il traumatico epilogo della Presidenza Segni portò il Parlamento in seduta comune nel dicembre 1964 ad un braccio di ferro serrato per eleggerne il successore. Giuseppe Saragat avrebbe fin lì ottenuto (record, poi, superato nelle elezioni successive da Leone) la Presidenza della Repubblica con l’elezione più travagliata, necessitando del ventunesimo scrutinio per il Quirinale. Le ragioni di un così tortuoso percorso andarono oltre i meri tatticismi parlamentari in attesa di sbloccare il nome giusto. Di base, infatti, Saragat al Quirinale rappresentò, da un lato, il completamento di un progetto politico personale dello statista piemontese con origini sarde di riunificare o, quantomeno, di riportare ad unità d’azione le aree scisse del socialismo italiano, mentre, sotto un altro aspetto, si dovette cercare l’uomo chiave per consolidare, definitivamente, la formula di governo del centro-sinistra tra la Dc e le forze socialiste.

L’elezione scaturì dopo un primo confronto contro Leone, sostenuto dalla Dc, Terracini, proposto dal Pci e dal compagno di lotta Pietro Nenni, messo in evidenza dal Psi. Saragat in un primo momento, consapevole di essere in forte minoranza, si ritirò attendendo che i franchi tiratori guidati da Fanfani colpissero Leone e che Pci e Psi non trovassero una convergenza su un nome comune. Ipotesi che si verificarono intorno al tredicesimo scrutinio, dove la sfiducia su Leone per la non compattezza Dc e la non convergenza delle sinistre su Nenni portarono Saragat a riproporsi: l’obiettivo del leader socialdemocratico si concentrò molto sui comunisti, più inclini ad accettare una sua candidatura per avere per la prima volta un uomo di sinistra al Quirinale e che li aiutasse nel dialogo con l’area socialista. Il 28 dicembre 1964, dopo aver superato le ultime riserve Dc, Saragat ottenne 646 voti utili per il Quirinale.

Saragat fu uomo chiave della Resistenza. Aderì sin dal 1922 al Partito Socialista unitario e fu molto vicino all’area riformista del partito e alle idee di Pietro Gobetti. Nel 1926 dovette espatriare per sfuggire alle persecuzioni fasciste, riparando prima a Vienna e poi, per la maggior parte del ventennio prima della Resistenza, a Parigi, dove creò una solida rete di contatti con gli ambienti socialisti e che si rivelerà utile, secondo alcune cronache, per l’Italia per ammorbidire la sua posizione di Paese sconfitto al termine del secondo conflitto mondiale per le trattative durante la Conferenza di Pace di Parigi. Nell’estate del 1943 dopo un difficoltoso rientro in Italia dalla Francia negoziò in favore della ricostituzione di un partito socialista unitario, il nuovo Psiup (Partito socialista italiano di unità proletaria) con la riunione del Psi, del Movimento di unità proletaria e dell’Unione Proletaria italiana. Inoltre, contribuì in senso decisivo il 23 agosto 1943 (in vista della eventuale ipotesi di guerra civile) l’unità d’azione con il Pci, rappresentando la delegazione socialista assieme a Nenni e Pertini (con Pertini condividerà la cella nel carcere di Regina Coeli fino alla loro evasione del 24 gennaio 1944 supportata dalla forze partigiane).

La sua attività istituzionale dalla Costituente (di cui fu Presidente fino al febbraio 1947) sino al Quirinale fu incentrata su un ideale di socialismo riformista e di ricerca dell’unità perduta dell’area socialista dalla scissione del gennaio 1947, dove Saragat fondò il partito socialdemocratico italiano. Sia nella sua attività di ministro e di parlamentare tentò, infatti, la via della riunificazione sciogliendo i nodi irrisolti dei rapporti esteri dell’area socialista e sponsorizzando verso il Psi l’allontanamento dall’Urss in favore del patto atlantico e degli Stati Uniti. Sul piano della politica interna operò da ministro degli Esteri dei Governi Moro I-II e come intermediatore per l’appoggio all’Esecutivo da parte dei socialisti. Senza dubbio questa sua costante intermediazione favorì la sua ascesa al Quirinale in un momento storico in cui il centro-sinistra avrebbe dovuto effettuare il salto di qualità come formula di governo stabile dal punto di vista delle convenzioni istituzionali.

Il settennato di Saragat non registrò scossoni particolari dal punto di vista della prassi istituzionale e, infatti, si mostrò vigilante all’essenziale sulla possibile convivenza delle anime centriste e socialiste nei programmi dei governi di fine anni Sessanta. Lo stesso scoppio delle contestazioni studentesche e degli anni di Piombo con la strage di Piazza Fontana a Milano non portarono il Presidente a muoversi in maniera interventista, il quale si limitò a vari appelli alle forze politiche per processi di riforma in linea con gli stravolgimenti sociali in atto. Seguì, naturalmente, con particolare interesse la riunificazione socialista del 1966, tentando dall’esterno di sospingere, in particolare Nenni, a mantenere l’unità del partito anche dopo la sconfitta alle elezioni politiche del 1968. Ne constatò con profonda amarezza l’impossibilità di proseguire oltre nel 1969 alla scissione definitiva nel 1969.

Per quanto l’interventismo verso le trasformazioni sociali sessantottine e i primi segni del terrorismo di matrice politica non furono enfatizzati delle sue prassi ed esternazioni, la sua persona venne comunque toccata da avvenimenti che contribuirono a rendere sempre più oscuri quei tempi. Come già parlato in separata sede, egli assistette al malore del predecessore Segni dopo il litigio sulla sua partecipazione o conoscenza del colpo di Stato, architettato dal Generale dell’Arma dei Carabinieri, De Lorenzo. Inoltre, da Presidente sarebbe stato bersaglio del fallito tentativo di golpe, orchestrato dall’ex comandante della “X Mas” della Repubblica di Salò, Junio Valerio Borghese.

Saragat lasciò il Quirinale nel 1971 con le accuse di non aver lasciato il segno né nella prassi quirinalizia e né sulla scena politica durante il settennato (vista l’illusoria riunificazione socialista tra il 1966 e il 1969). L’eredità per il successore, Giovanni Leone, non sarebbe stata pesante dal punto di vista del lascito in tema di prassi, ma comunque sarebbe stata significativa in quanto il Quirinale per la prima volta nella sua storia laica e repubblicana sembrò restare sullo sfondo della scena politica, dominata dalle forze partitiche e sindacali nell’era, parafrasando Maranini, della cd. “partitocrazia”.