Il 27 dicembre 1947 De Nicola promulgava la Costituzione della Repubblica Italiana. Fino a poco prima dell’approvazione definitiva avvennero modifiche al testo e nel corso della discussione apparvero molti articoli che poi non arrivarono al testo conclusivo. Ne vediamo tre.
Appena eletta il 2 giugno 1946, l’Assemblea Costituente nominò al suo interno la Commissione per la Costituzione, composta di 75 deputati (per questa è anche nota come “Commissione dei 75“) incaricati di stendere il progetto generale della carta costituzionale. A sua volta, la Commissione si suddivise in tre sottocommissioni: diritti e doveri dei cittadini (presieduta da Umberto Tupini, DC), organizzazione costituzionale dello Stato (presieduta da Umberto Terracini, PCI) e rapporti economici e sociali (presieduta da Gustavo Ghidini, PSI).
Il progetto costituzionale così elaborato dalla Commissione venne presentato all’Assemblea nel febbraio 1947 e così iniziò il dibattito in aula, che si protrasse fino al dicembre successivo, riguardo sia all’impianto generale sia ai singoli titoli e norme. Trovata finalmente una convergenza tra le varie correnti politiche, il testo definitivo venne approvato a scrutinio segreto il 22 dicembre 1947 con 458 voti favorevoli, 62 contrari e nessun astenuto, per un totale di 520 votanti (su 556 eletti). La Costituzione venne infine promulgata il 27 dicembre 1947 dal Capo Provvisorio dello Stato Enrico De Nicola (la firma avvenne a Palazzo Giustiniani), pubblicata lo stesso giorno nell’edizione straordinaria della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 298. ed entrò in vigore il 1º gennaio 1948.
La maggioranza che elaborò e votò la Costituzione fu il frutto di un compromesso tra la sinistra e i cattolici sui principi fondamentali, anche se i liberali esercitarono un’influenza decisiva sui meccanismi istituzionali ed in particolare la separazione dei poteri. Come si può intuire, la discussione sul testo della Costituzione fu molto lunga e complessa. Diversi articoli vennero approvati in Commissione e non finirono nel testo definitivo, altri vennero bocciati ma con un margine ridotto. Vediamone alcuni.
Un Capo dello Stato collettivo sul modello dell’Unione Sovietica
[20 dicembre 1946, prima Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione]
Umberto Nobile (PCI, sì, l’esploratore polare famoso) premette che la sua proposta — che ora sottopone ai colleghi sotto forma di questione di principio, approvata la quale si potrà redigere l’esatta formulazione — ha i suoi precedenti soltanto nell’ordinamento inglese ed in quello sovietico, i quali, però, hanno istituti dotati di attribuzioni più larghe di quelle che, secondo la sua idea, dovrebbero essere conferite al Consiglio Supremo della Repubblica. Fa presente che la questione di principio è appunto quella di decidere sull’opportunità o meno che il Capo dello Stato, il quale rappresenta la personalità stessa dello Stato ed è l’anello di congiunzione fra i tre poteri, venga assistito nell’esercizio delle sue funzioni da questo Consiglio. (…) È del parere che tale Consiglio debba essere composto di cinque o sei membri elettivi, nominati dall’Assemblea Nazionale, contemporaneamente al Capo dello Stato; e che la scelta dei componenti debba essere circoscritta fra coloro che hanno una più lunga esperienza politica: si potrebbe cioè considerare come requisito di eleggibilità il fatto di essere stato Capo dello Stato, o Capo del Governo, o Ministro.
Considera poi le materie sulle quali il Consiglio Supremo della Repubblica dovrebbe essere sentito: convocazione e scioglimento delle due Camere, esercizio del diritto di grazia, attribuzione e revoca del Comando delle Forze armate, dichiarazione dello stato di guerra e proclamazione dello stato d’assedio, ratifica dei trattati internazionali, nomina e revoca dei rappresentanti diplomatici, conferimento di decorazioni e attribuzione di titoli onorifici.
(…)
Luigi Einaudi (PLI, eletto UDN) non vede su quali argomenti il Consiglio della Repubblica possa dare consigli, poiché — a eccezione di quanto riguarda la nomina del Primo Ministro, la concessione di grazia e lo scioglimento delle Camere — tutte le altre funzioni sono automatiche e non dipendono dalla volontà del Presidente della Repubblica.
Ritiene che il Presidente della Repubblica debba avere un solo consigliere, e cioè il Primo Ministro, al quale l’Assemblea Nazionale ha accordato la sua fiducia. D’altra parte, osserva che non si possono sentire due consigli diversi, perché o essi coincidono e allora ne basta uno, o non coincidono e allora il Presidente deve seguire quello dato dal Primo Ministro, che gode la fiducia dell’Assemblea Nazionale.
Fa presente che soltanto nel caso in cui l’Assemblea Nazionale non fosse riuscita a designare chiaramente chi deve ricoprire la carica di Primo Ministro, il Presidente della Repubblica si verrebbe a trovare privo del suo unico e naturale consigliere.
Prospetta l’opportunità di indicare, prima di arrivare ad una decisione, l’origine e i compiti di questo Consiglio, e afferma, a questo proposito, che l’unica funzione che ha il Presidente della Repubblica è quella di assumere la responsabilità delle proprie azioni, nei momenti supremi della vita dello Stato, quando l’Assemblea Nazionale non riesce a esprimere con chiarezza la sua volontà. Conclude dichiarando di avere dei dubbi circa l’opportunità di creare questo Consiglio della Repubblica.
(…)
Vincenzo La Rocca (PCI), Relatore, è favorevole, perché ritiene che l’istituzione del Consiglio della Repubblica non alteri né deformi in alcun modo il sistema parlamentare, ma costituisca anzi una garanzia per il buon funzionamento del sistema stesso.
(Non è approvato)
Abolizione dell’ergastolo
[10 dicembre 1946, la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione riesamina gli articoli da deferire al Comitato di coordinamento. È in discussione l’articolo relativo all’abolizione della pena di morte.]
Palmiro Togliatti (PCI), sull’articolo 9, in cui è detto che la pena di morte non è ammessa, domanda se la Commissione ritenga fuori luogo sollevare, a questo punto, la questione della pena dell’ergastolo, che essendo altrettanto inumana quanto la pena di morte, dovrebbe essere parimenti soppressa.
(…)
Aldo Moro (DC) fa presente all’onorevole Roberto Lucifero (PLI) che l’abolizione della segregazione cellulare deve intendersi inclusa nell’articolo della Costituzione che garantisce a ciascun cittadino un trattamento umano.
Il Presidente Umberto Tupini (DC), riassunta la discussione, dà atto all’onorevole Togliatti del voto espresso per l’abolizione della pena dell’ergastolo, cui si sono associati gli onorevoli Lucifero e Pietro Mancini (PSI). Trattandosi però, di argomento di tale importanza da meritare di essere più approfondito, ritiene che la Sottocommissione possa essere concorde nel rinviarlo in sede più opportuna.
(La sede più opportuna non ci sarà mai)
Il Diritto di Resistenza all’oppressione nell’articolo 54
Testo definitivo del Progetto di Costituzione elaborato dalla Commissione: “Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino.“
[5 dicembre 1947, nella seduta antimeridiana, l’Assemblea Costituente prosegue l’esame di alcuni emendamenti ad articoli che erano stati rinviati.]
Costantino Mortati (DC): “Ora quando si verifichi l’ipotesi che tutte queste garanzie siano esaurite e quando la stessa Corte costituzionale abbia convalidato — con la sua sentenza l’atto arbitrario — della pubblica autorità, in questo caso il cittadino — secondo il significato della disposizione proposta — non deve acquietarsi alla violazione dei diritti supremi, garantiti dalla Costituzione come inviolabili, ma deve ribellarsi. Intesa in questo senso la disposizione, ci si deve chiedere: è opportuno che essa sia inserita nella Costituzione? Circa la sostanziale esattezza e, vorrei dire, la santità di questo principio, nessuno potrebbe sollevare delle obiezioni, e tanto meno noi cattolici, poiché è tradizionale nel pensiero cattolico l’ammissione del diritto naturale alla ribellione contro il tiranno. Ci sono scrittori cattolici che riconoscono la legittimità perfino della soppressione del tiranno. Quindi non è al principio che noi ci opponiamo, ma alla inserzione nella Costituzione di esso, e ciò perché a nostro avviso il principio stesso riveste carattere metagiuridico, e mancano, nel congegno costituzionale, i mezzi e le possibilità di accertare quando il cittadino eserciti una legittima ribellione al diritto e quando invece questa sia da ritenere illegittima.
Siamo condotti con questa disposizione sul terreno del fatto, e pertanto su un campo estraneo alla regolamentazione giuridica.
Si è detto che questo articolo potrebbe avere un valore educativo, e questo è vero. Ma bisogna allora stabilire se la Costituzione debba essere un testo di legge positiva, oppure un trattato pedagogico.
In riferimento al carattere di testo legislativo che a nostro avviso la Costituzione deve rivestire, io ed i miei colleghi di Gruppo riteniamo che non sia opportuno sancire un tale principio nella Costituzione, ed è per questi motivi e con questo significato che dichiariamo di votare per la soppressione dell’articolo 50. (Applausi al centro e a destra).”
(…)
Presidente Umberto Terracini (PCI): (…) “Pongo in votazione la soppressione del secondo comma dell’articolo 50.“
(Dopo prova e controprova, è approvata. Il testo era stato originariamente proposto da Giuseppe Dossetti, DC)
BONUS. Una cosa che venne approvata e poco dopo modificata
Art. 60: La Camera dei deputati è eletta per cinque anni, il Senato della Repubblica per sei.
Visti tutti i problemi che poneva avere due camere di fatto uguali ma con durata diversa in un clima politico super polarizzato, la durata delle due camere venne equiparata prima di fatto con lo scioglimento anticipato delle stesse, poi de iure con legge costituzionale del 1963.
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