La definitiva sconfitta patita da Licinio nell’autunno del 323 aveva lasciato Costantino unico arbitro dell’Impero e, in qualche modo, sancito il definitivo prevalere del cristianesimo sulle religioni tradizionali. Tuttavia l’Imperatore conservava la carica di Pontifex Maximus, dalla morte di Lepido prerogativa cesarea, con ciò restando garante della Pax deorum e rappresentante terreno della Concordia Augusta.
In ossequio a questa concezione pagana del proprio ruolo, egli ritenne di dover dirimere le controversie che allora dilaniavano la Chiesa, in particolar modo nelle regioni orientali, adunando una sinodo che coinvolgesse l’episcopato non solo di quelle terre ma anche, per quanto possibile, occidentale.
Poco interessa che l’idea di questa prima assise ecumenica gli fosse stata suggerita da Alessandro di Alessandria, come riporta l’ariano Filostorgio, o che fosse stata una sua spontanea iniziativa, come ritiene Eusebio; sta di fatto che nella convocazione nessun ruolo venne giocato dalla Sede romana, non potendosi attribuire fede all’opinione contraria sostenuta dal tardo e “partigiano” Liber pontificalis.
I circa 300 vescovi (318 secondo la tradizione, in massima parte orientali) che vi parteciparono, lavorarono collegialmente sotto la presidenza di Costantino e la direzione del suo più stretto consigliere ecclesiastico, Osio di Cordova, coadiuvato dai legati romani Vito e Costanzo.
Unitamente alla promulgazione di venti canoni relativi alla disciplina clericale, vennero definite tre questioni dottrinali: Melezio, che ad Alessandria aveva costituito una sua “Chiesa dei martiri” venne confinato a Licopoli, con inibizione dall’esercizio dell’episcopato; si riprovò l’uso giudaizzante di celebrare la Pasqua il 14° giorno del mese di nîsān, canonizzando invece la tradizione romana e alessandrina che la voleva festeggiata sempre dopo l’equinozio; venne infine promulgato il celebre Simbolo, condannando l’opinione di Ario, secondo cui
«solo il Padre meritava il titolo di Dio mentre il Verbo non aveva di fronte a Lui che una divinità secondaria e subordinata, in quanto il Verbo era stato tratto dal nulla e perciò vi era un tempo in cui non esisteva dato che era stato generato dal Padre non necessariamente ma liberamente.» [v. Bardy, La crisi ariana, in Fliche-Martin (cur.), Storia della Chiesa, III, Torino, 1961, 9.]
Pur non essendo coronato da successo immediato (l’eresia ariana sopravvivrà fino alla conversione dei Longobardi nel VII secolo), le vicende successive alla chiusura del Concilio dimostrarono che vi sarebbe stato un “prima e dopo Nicea”, non solo a livello dottrinale ma anche e soprattutto nei rapporti tra Chiesa e Autorità secolare.
Prima, nella difesa dell’Ortodossia la Chiesa aveva contato esclusivamente sulle proprie forze. Dopo sarebbe stato invece l’Imperatore a mettere a disposizione il proprio “braccio” per reprimere l’eresia. Una prassi questa che sarebbe divenuta vero e proprio diritto, definitivamente recepito dalle compilazioni teodosiana e giustinianea.
Il Simbolo di Nicea
«La ‘fede di N[icea]’, come si apprende dai testimoni Eusebio, Atanasio e Marcello di Ancira, dalle antichissime versioni latine e siriache e dall’uso costante della Chiesa, suonava così:
‘Crediamo in un Dio Padre onnipotente, creatore di tutto il visibile e l’invisibile; e in un Signor Gesù Cristo il Figlio di Dio, Unigenito, generato dal Padre, ossia dalla sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non fatto, consustanziale al Padre, mediante il quale tutto fu fatto, quello che è nel cielo e quello che è nella terra; il quale per noi uomini e per la nostra salvezza discese e si fece carne, si fece uomo, patì e resuscitò il terzo giorno, salì ai cieli, verrà a giudicare i vivi e i morti; e nello Spirito Santo.
Quelli poi che dicono v’era [un certo periodo] quando non era e non era prima di essere generato e che osano dire che fu fatto dal nulla o da un’altra hypostasis o usia o che il Figlio di Dio era creato o mutevole o scambievole vengono anatematizzati dalla Chiesa cattolica.’»
Da Ortiz de Urbina, v. Nicea, Primo concilio di N., in Enc. Catt., VIII, Città del Vaticano, 1952, col. 1830.