Nel novembre 1989, il XIV Congresso del Partito Comunista Rumeno (PCR) vide Ceaușescu, all’età di 71 anni, rieletto per altri cinque anni come leader del PCR. Durante il Congresso, Ceaușescu pronunciò un discorso denunciando le rivoluzioni anticomuniste in corso nel resto dell’Europa orientale. Il mese successivo, lo stesso governo di Ceaușescu crollò dopo una serie di eventi violenti a Timişoara e Bucarest.
Le manifestazioni nella città di Timişoara vennero innescate dal tentativo sponsorizzato dal governo di sfrattare László Tőkés, un pastore dell’etnia ungherese, accusato dal governo di incitare all’odio etnico. Membri della sua etnia hanno circondarono il suo appartamento in segno di sostegno. Gli studenti rumeni si unirono spontaneamente alla manifestazione, che presto perse quasi del tutto il legame con la sua causa iniziale ed diventò una manifestazione antigovernativa più generale. Le forze militari regolari, la polizia e la Securitate spararono sui manifestanti il 17 dicembre 1989, uccidendo e ferendo uomini, donne e bambini.
Il 18 dicembre 1989, Ceaușescu partì per una visita di stato in Iran, lasciando il compito di reprimere la rivolta di Timişoara ai suoi subordinati e a sua moglie Elena. Al suo ritorno in Romania la sera del 20 dicembre, la situazione si era fatta ancora più tesa e dunque Ceaușescu tenne un discorso televisivo dallo studio all’interno del Palazzo del Comitato Centrale, dove parlava degli eventi di Timişoara in termini di una “interferenza di forze straniere negli affari interni della Romania” e di una “aggressione esterna alla sovranità della Romania“. Il paese, che aveva poche o nessuna informazione sugli eventi accaduti a Timișoara dai media nazionali, apprese della rivolta da stazioni radio estere (come Voice of America e Radio Free Europe) e dal passaparola. Il giorno successivo, il 21 dicembre, Ceaușescu organizzò una manifestazione di massa a Bucarest. I media ufficiali la presentarono come un “movimento spontaneo di sostegno a Ceaușescu”, emulando l’incontro del 1968 in cui aveva parlato contro l’invasione della Cecoslovacchia da parte delle forze del Patto di Varsavia.
La manifestazione di massa del 21 dicembre, tenutasi in quella che ora è la Piazza della Rivoluzione, iniziò come molti dei discorsi di Ceaușescu nel corso degli anni. Parlò delle conquiste della “rivoluzione socialista” e della “società socialista sviluppata multilaterale” della Romania. Diede la colpa delle rivolte di Timişoara agli “agitatori fascisti che vogliono distruggere il socialismo”. Tuttavia, Ceaușescu aveva giudicato male l’umore della folla. A circa otto minuti dall’inizio del suo discorso, diverse persone iniziarono a deriderlo e fischiarlo, mentre altri iniziarono a urlare “Timişoara!”. Ceaușescu cercò di metterli a tacere alzando la mano destra e richiamando l’attenzione della folla, quindi proseguì ad annunciare riforme delle prestazioni sociali che includevano l’aumento del salario minimo nazionale di 200 lei al mese per un totale di 2.200 mensili dal 1 Gennaio. Non riuscendo a controllare la folla, i Ceaușescu si rifugiarono all’interno dell’edificio che ospitava il Comitato Centrale del Partito Comunista Rumeno. Il resto della giornata vide un’aperta rivolta della popolazione di Bucarest, che si era riunita in Piazza dell’Università e aveva affrontato la polizia e l’esercito su barricate improvvisate. I rivoltosi, tuttavia, non potevano competere contro l’apparato militare concentrato a Bucarest, che per la mezzanotte aveva sgombrato le strade e arrestato centinaia di persone.
La mattina del 22 dicembre, la ribellione si era già diffusa in tutte le principali città del paese. La morte sospetta di Vasile Milea, ministro della Difesa di Ceaușescu, successivamente confermata come un suicidio, venne annunciata dai media. Immediatamente dopo, Ceaușescu presiediette la riunione del CPEx (Comitato esecutivo politico) e assunse la guida dell’esercito. Credendo che Milea fosse statao ucciso, i soldati semplici passarono dalla parte della rivoluzione quasi in massa. I comandanti scrissero a Ceaușescu come si trattasse ormai di una causa persa e non fecero alcuno sforzo per mantenere i loro uomini fedeli al governo. Ceaușescu fece un ultimo disperato tentativo di rivolgersi alla folla riunita davanti al palazzo del Comitato Centrale, ma le persone in piazza iniziarono a lanciargli pietre, costringendolo a rifugiarsi nell’edificio ancora una volta. Lui, Elena e altri quattro lealisti riuscirono a salire sul tetto ed a fuggire in elicottero, con pochi secondi di vantaggio su un gruppo di manifestanti che li avevano inseguiti lì. Il Partito Comunista Rumeno scomparve subito dopo; a differenza dei suoi partiti affini nell’ex blocco sovietico, non è mai stato ricostituito.
Dopo che Ceaușescu fu rovesciato il 22 dicembre, il vuoto politico fu riempito da un’organizzazione chiamata Fronte di Salvezza Nazionale (FSN: Frontul Salvării Naționale), formata spontaneamente da membri del partito comunista di secondo rango, contrari alle politiche di Ceaușescu e partecipanti come non affiliati al rivolta. Ion Iliescu venne subito riconosciuto come il leader dell’organizzazione e quindi dell’autorità provvisoria. Si accorse che era in corso una vera rivoluzione quando notò per la prima volta che la Securitate non lo pedinava più.