L’Unione Sovietica si dissolse il 26 dicembre 1991. Il programma di riforme economiche del Presidente Boris Eltsin entrò in vigore subito dopo, il 2 gennaio 1992. I prezzi salirono alle stelle, la spesa pubblica venne tagliata radicalmente e nuove tasse entrarono in vigore. Ci fu un forte credit crunch che portò alla chiusura di numerose industrie e la depressione che stava già affrontando il paese si acuì. Il livello dei disoccupati raggiunse numeri record. Il programma di riforme iniziò a perdere supporto e iniziò una contesa politica fra Eltsin da un lato e gli oppositori del ciclo di riforme dall’altro: ben presto i due lati assunsero l’aspetto dell’esecutivo e del legislativo.
Nel corso del 1992 l’opposizione alle riforme di Eltsin si fece sempre più forte fra i burocrati ex-sovietici preoccupati, anche a ragione, della condizione dell’industria russa e fra i leader di singole regioni desiderosi di più indipendenza da Mosca, come i presidenti del Tartastan e della Baschiria, ricche di petrolio. Un vecchio alleato di Eltsin, in procinto di diventare il suo può forte oppositore, lo stesso vice-presidente Aleksandr Ruckoj denunciò le riforme del suo presidente come un “programma di genocidio economico”. Sicuramente quello che vedevano i russi era che nella prima metà dell’anno il reddito medio individuale era calato di due volte e mezzo.
Allo stesso tempo, Eltsin lottava contro il Soviet Supremo (la legislatura permanente della Federazione) e il Congresso dei Deputati del Popolo (il più alto corpo legislativo dello Stato, da cui venivano tratti i membri del Soviet Supremo) per il controllo sul governo e sull’indirizzo politico. Il Presidente del Soviet Supremo, Ruslan Chasbulatov, dichiarò ufficialmente di opporsi alle riforme del Presidente, pur condividendo gli obiettivi finali di Eltsin.

Boris Eltsin era preoccupato dalle condizioni degli emendamenti costituzionali approvati a fine 1991, i quali prevedevano la fine dei suoi poteri speciali di decretazione, correlati alla necessità di attuare riforme, per la fine del 1992. Eltsin, attendendo l’implementazione del suo programma di privatizzazioni, domandò al parlamento di prolungare questi poteri ma ottenne un rifiuto sia dal Soviet Supremo che dal Congresso dei Deputati del Popolo.
Il 12 dicembre 1992, Eltsin e il Presidente del Parlamento Chasbulatov si accordarono su un compromesso in tre punti:
1. Si sarebbe tenuto ad aprile 1993 un referendum su una nuova costituzione
2. I poteri speciali di Eltsin sarebbe stati prorogati fino al referendum
3. Il parlamento rivendicava il suo diritto di nominare a piacere il primo ministro e di rifiutare le proposte del presidente per le posizioni di ministro della difesa, degli affari esteri e degli interni.
Il compromesso durò poco. La prima parte del 1993 vide una progressiva crescita della tensione fra Eltsin e il parlamento attorno al tema del referendum e della divisione dei poteri. Il Congresso dei Deputati del Popolo annullò i poteri speciali che aveva concesso al Presidente. Il potere legislativo, guidato da Chasbulatov, iniziò a percepire che poteva mettere all’angolo se non battere il Presidente. La tattica era semplice: erodere progressivamente il controllo di Eltsin sull’esecutivo. In risposta, questi, convocò un referendum per una nuova costituzione per l’11 aprile.

L’ottavo Congresso dei Deputati del Popolo si aprì il 10 marzo 1992 con un forte attaccò a Eltsin. Chasbulatov lo accusò di agire in maniera apertamente incostituzionale. In una successione sessione di emergenza del Congresso di pochi giorni dopo, venne approvato un emendamento alla Costituzione che privava il Presidente di numerosi suoi poteri e cancellava il referendum programmato per aprile. Nonostante ciò, il vice primo ministro Vladimir Šumejko dichiarò che il referendum si sarebbe tenuto ugualmente il 25 aprile.
La risposta di Boris Eltsin non si tardò ad attendere. Il 20 marzo, con un messaggio televisivo diretto alla nazione, dichiarò che aveva firmato un decreto che istituiva un “regime speciale”, sotto il quale avrebbe assunto poteri esecutivi straordinari in vista di un referendum sulle successive elezioni legislative, sulla una nuova costituzione, sulla fiducia verso il presidente e il vice-presidente. Concluse attaccando i deputati, accusandoli di voler restaurare l’ordine sovietico.
Subito dopo, Valerij Zorkin (Presidente della Corte Costituzionale), Jurij Voronin (Primo Vice-Presidente del Soviet Supremo), Alexander Ruckoj (il menzionato vice-presidente) e Valentin Stepankov (il Procuratore Generale), rilasciarono un messaggio pubblico dove condannavano la dichiarazione di Eltsin come incostituzionale. Il 23 marzo, sulla base del messaggio televisivo, non essendole stato ancora trasmesso il testo, la Corte Costituzionale dichiarò incostituzionali alcune misure proposte da Eltsin. Probabilmente a causa di questo contraccolpo, il decreto, pubblicato giorni dopo, non conteneva misure incostituzionali.
Eltsin sopravvisse ad un successivo tentativo di impeachment, ma con lui anche Ruslan Chasbulatov, che subì lo stesso trattamento. Siccome però l’impeachment era fallito, il Congresso dei Deputati del Popolo fissò nuovi termini per il referendum, domandando al popolo se avesse fiducia in Eltsin, approvava le sue riforme e desiderasse elezioni presidenziali e legislative anticipate.

Al programmato referendum del 25 aprile, il 64% dei votanti si espresse a favore delle domande poste dal Congresso dei Deputati del Popolo, tranne che sulla necessità di una elezione presidenziale anticipata. Nonostante questa vittoria, comunque, Eltsin, quale presidente, non aveva leve normative per dargli significato. Demagogicamente dovette fare affidamento al “popolo” contro il “parlamento”.
Il periodo di fine aprile-inizio luglio vide una costituente volta a scrivere una nuova costituzione per il Paese. Il compromesso venne trovato e la bozza approvata per il 12 luglio. C’era però un problema: la nuova costituzione prevedeva una ristrutturazione del legislativo in una camera bassa e in una camera alta: non c’era spazio per il Congresso dei Deputati del Popolo. E dunque il Congresso non avrebbe mai approvato l’entrata in vigore della nuova Costituzione. Seguì una lotta passivo-aggressiva fra esecutivo e legislativo. Il 13 agosto 1993 un editorialista sul prestigioso quotidiano Izvestija commentò “Il Presidente emette decreti come se non ci fosse un Soviet Supremo e il Soviet Supremo sospende decreti come se non ci fosse un Presidente”.
La cosa non poteva andare avanti per molto.
Il 21 settembre Eltsin dichiarò dissolto il Soviet Supremo col decreto 1400, atto palesemente contrario a numerose disposizioni della Costituzione vigente. Lo fece con un appello trasmesso in televisione direttamente al popolo:
Già da lungo tempo, la maggior parte delle sessioni del Soviet Supremo avvengono con violazione delle più elementari procedure e ordine… Un repulisti dei comitati e delle commissioni è in corso. Chiunque che non mostri devozione al suo leader è espulso senza pietà dal Soviet Supremo, dalla sua presidenza… Questa è tutta una amara prova del fatto che il Soviet Supremo come istituzione dello Stato è in una condizione di decadenza… Il potere del Soviet Supremo è stato catturato da un gruppo di persone che lo hanno trasformato nel quartier generale di una opposizione intransigente… La sola via per sorpassare la paralisi dell’autorità dello Stato nella Federazione Russa è un suo rinnovamento sulle basi dei principi della sovranità popolare e della costituzionalità. La Costituzione attualmente in vigore non lo permette. La Costituzione in vigore inoltre non prevede una procedura per approvare una nuova Costituzione, che significherebbe una eccellente uscita dalla crisi del potere statale. Io, come garante della sicurezza del nostro stato devo proporre una uscita da questo stallo, devo rompere questo circolo vizioso.

Eltsin affermò anche che dissolvendo il parlamento stava aprendo la via a una rapida transizione verso una economia di mercato funzionante. Con questo impegno, ricevette una forte approvazione dalle potenze occidentali. Inoltre, bisogna anche tenere in considerazione che in Russia il lato che parteggiava per Eltsin aveva anche il controllo delle televisioni, dove non veniva quasi mai trasmesso alcun punto di vista a favore del Parlamento.
Com’è come non è, il vice presidente, Ruckoy dichiarò che quella di Eltsin era una mossa verso un colpo di Stato. Il giorno seguente la Corte Costituzionale sostenne che Eltsin avesse violato la Costituzione e poteva essere oggetto di impeachment. Il Soviet Supremo invece, in una sessione durata per tutta la notte presieduta da Chasbulatov, dichiarò il decreto 1400 di Eltsin nullo e privo di valore. Ruckoy venne proclamato presidente e giurò sulla costituzione. Il Soviet rimosse dall’incarico i ministri della difesa, sicurezza e interni. La Russia aveva adesso due presidenti e due governi.
Il 24 settembre un imperterrito Eltisin annuncia che si terranno nuove elezioni presidenziali per il giugno 1994. Lo stesso giorno, il Congresso dei Deputati del Popolo votò per tenere simultaneamente elezioni presidenziali e legislative nel marzo 1994. La risposta di Eltsin fu tagliare l’elettricità, il telefono e l’acqua calda all’edificio del parlamento.
Si scatenarono inoltre rivolte fra la popolazione di Mosca contro la dissoluzione del parlamento e le politiche neoliberali di Eltsin. Decine di migliaia di moscoviti marciarono nel tentativo di consolidare la causa parlamentare. I protestanti manifestavano anche per lo stato generale della cosa pubblica: dal 1989 il PIL era crollato, la corruzione onnipresente, i crimini violenti aumentati di moltissimo, la sanità al collasso e l’aspettativa di vita in diminuzione. Tutte le colpe, passate e presenti, erano addossate a Eltsin.

Il 28 settembre Mosca vide i primi scontri sanguinosi fra polizia speciale e manifestanti anti-Eltsin. In egual modo, lo stesso giorno, il ministero degli interni isolò l’edificio del parlamento col filo spinato. Il pomeriggio del 3 ottobre la polizia di Mosca fallì nel controllare una dimostrazione in supporto del Soviet Supremo vicino il palazzo del parlamento, la Casa Bianca, col supportò di unità di Truppe Interne (sorta di guardia nazionale) e il “vicolo cieco” politico si trasformò in un conflitto armato.
Ruckoj salutò la folla dal balcone della Casa Bianca, chiamandola a raccolta per formare battaglioni e andare a occupare l’ufficio del sindaco di Mosca e il centro televisivo di Ostankino. Chasbulatov inoltre invocò un assalto al Cremlino per imprigionare “il criminale e usurpatore Eltsin”. Questi rispose firmando un decreto alle ore 16:00 che dichiarava lo stato di emergenza nella città di Mosca.
La sera del 3 ottobre, dopo aver effettivamente occupato l’ufficio del sindaco, i dimostranti pro-parlamento e i soldati guidati dal generale Albert Makašov si mossero verso Ostankino. Qui vennero accolti da unità fedeli al ministero degli interni e dalle forze speciali, dando luogo ad una vera e propria battaglia. Parte del centro televisivo fu danneggiata in modo rilevante, impedendo ogni trasmissione, e rimasero uccise 62 persone, fra cui un avvocato americano, e due giornalisti francesi, uno britannico e uno americano per il fuoco dei cecchini. Prima di mezzanotte, le forze del ministero degli interni riuscirono a respingere i manifestanti fedeli al parlamento.

Quando il segnale televisivo venne ripreso durante la sera, il vice-premier Egor Gajdar chiamò la popolazione a partecipare a un sit-in in nome della democrazia e il Presidente Eltsin “affinché il paese non venga trasformato di nuovo in un grande campo di concentramento”. Molti membri della comunità intellettuale, di diversa formazione politica, accolsero questo invito, vedendo nelle azioni di quei giorni o un tentativo di revanche della nomenklatura comunista o un tentativo personale di Ruckoj e chasbulatov di acquisire potere. Diverse centinaia di persone passarono la notte nella piazza fuori dal municipio di Mosca, pronti a nuovi scontri, per scoprire all’alba del 4 di ottobre che l’esercito era dalla loro parte.

Fra il 2 e il 4 ottobre la posizione dell’esercito fu un fattore decisivo, nonostante prima di rispondere alla chiamata alle armi di Eltsin le forze armate fecero passare alcuni giorni in cui decine di persone furono uccise.
Ruckoj, che era stato un generale prima di entrare in politica, era attraente verso numerosi suoi ex colleghi. Molti ufficiali avevano scarsa simpatia per Eltsin. Ma i sostenitori del parlamento non mandarono alcun emissario alle caserme dei soldati e degli ufficiali minori, compiendo l’errore fatale di cercare sostenitori solo tra i militari di grado più elevato che già avevano rapporti con i leader dell’azione parlamentare. Alla fine la maggior parte dei generali non volle scommenttere infatti sul tandem Ruckoj-Chasbulatov.
Il piano dell’azione finale fu proposto dal capitano Gennadij Zacharov. Dieci carri armati avrebbero fatto fuoco sui piani superiori del parlamento, con lo scopo di minimizzare i feriti ma massimizzare la confusione e il panico fra i difensori (stimati attorno ai 600). Quindi i soldati speciali delle unità Vympel e Alpha avrebbero fatto un raid dei locali del parlamento.
Per l’alba del 4 ottobre, l’esercito aveva circondato l’edificio del Parlamento e poche ore dopo i carri armati iniziarono a bombardare il palazzo. Alle ore 8:00 Eltsin dichiarò:
Questi, che si sono messi contro una città pacificista e hanno bagnato le strade di sangue, sono criminali. Ma non è solo un crimine di banditi o genocidi. Tutto ciò che sta prendendo piede a Mosca ed è ancora in corso è una ribellione armata pre-pianificata. Questa è stata organizzata da revachisti comunisti, leader fasciti, in parte ex-deputati, i rappresentanti dei Soviet. Sotto negoziati segerti hanno riunito forze, reclutato soldati fuorilegge, che erano abituati all’omicidio e alla violenza. Una minuscola gang di politici ha tentato tramite forza armata di imporre la propria volontà all’intero paese… Questi, che stanno sventolando bandiere rosse, ancora una volta macchiano la Russia di sangue. Speravano nella nostra impreparazione, per il fatto che la loro imprudenza e crudeltà senza precedenti avrebbe seminato paura e confusione… La ribellione armata fascio-comunista a Mosca sarà sorpressa nel tempo pià breve. Lo Stato Russo ha le forze necessarie per farlo.
Per mezzogiorno, i soldati erano entrati nella Casa Bianca e avevano iniziato a occuparla. Il disperato appello di Ruckoj ai piloti dell’aviazione militare affinché bombardassero il Cremlino andò inascoltato.

Per metà pomeriggio la resistenza popolare nelle strade era stata completamente sciolta, escluso certi colpi di cecchino occasionali.
Centinaia di sostenitori del Soviet Supremo si arresero e vennero mandati allo stadio più vicino. Numerose fonti di informazione testimonaniano che i prigionieri sono stati successivamente giustiziati.
La “Seconda Rivoluzione di Ottobre” ha visto gli scontri più mortali a Mosca dal 1917. Secondo le dichiarazioni della polizia dell’8 ottobre 1993, 187 persone sono morte nei combattimenti e 437 sono rimaste ferite.
Per altre erudizioni legali:
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L’istituto russo di ricerche sull’opinione pubblica VCIOM (controllato dallo Stato), ha effettuato un sondaggio su questi fatti nell’ottobre 1993 e trovò come risultato che il 51% delle persone sondate pensavano che l’uso dell’esercito da parte di Eltsin fosse giustificato, mentre il 30% lo riteneva non giustificato. Questo supporto per Eltsin è calato nel corso degli anni. Quando la stessa agenzia ha posto la medesima domanda nel 2003, solo 20% si è detta favorevole all’uso dell’esercito, mentre il 57% era contraria. Riguardo invece alla principale causa dei fatti del 3-4 Ottobre, il 46% nel 1993 biasimava Ruckoj e Chasbulatov. Invece, dieci anni dopo la crisi, la causa principale era rinvenuta nell’eredità di Michail Gorbačëv col 31%, seguita a scarsa distanza dalle politiche di Eltsin col 29%.
Il 12 dicembre Eltsin riuscì a far approvare la sua costituzione, creando una forte presidenza dotata di poteri di emettere decreti. La stessa costituzione è quella in vigore attualmente durante la presidenza di Putin.
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