È la mattina del 21 gennaio 1793, potrebbe sembrare una banale mattinata, l’inizio di un giorno come tanti altri vissuti dagli abitanti di Parigi. Le premesse ci sono tutte: cielo plumbeo, nuvoloso, il clima è come al solito molto umido; ma è proprio come il tuono irrompe nella tranquillità generata dalla pioggia, che il rumore di una carrozza spacca il silenzio delle strade parigine. Quella vettura trasporta l’ormai ex re di Francia, Luigi XVI, verso il patibolo.
Contrariamente a quanto il senso comune possa far pensare, all’indomani degli avvenimenti seguiti alla creazione dell’Assemblea Nazionale, la presa della Bastiglia , il sovrano rimase fortemente popolare per tutta la popolazione a prescindere dalla stratificazione sociale di appartenenza, nonostante il sistema feudale fosse ormai stato distrutto con l’abolizione dei privilegi. In effetti, era opinione comune tra la gente credere che il monarca fosse in realtà ben intenzionato e che stesse agendo per il bene della nazione. A tal proposito le cronache raccontano di un avvenimento in particolare dove il sentimento di devozione per Luigi da parte del popolo diventò massimo: per il primo anniversario della presa della Bastiglia, al cospetto di centinaia di migliaia di persone, Luigi XVI alzò la mano destra e di fronte all’Altare della Patria giurò solenne fedeltà alla nuova Costituzione. Finalmente la maggior parte dei cittadini di Parigi si convinse che la rivoluzione aveva davvero trionfato per il fatto di avere dalla propria parte perfino il sovrano.
Come spesso succede però, le cose non sono mai troppo belle per essere vere e ciò che istintivamente si potrebbe chiamare realtà, finisce con il rivelarsi come una mera illusione (in questo caso dissimulazione). Né Luigi, né la sua famiglia videro di buon occhio gli eventi rivoluzionari, e come biasimarli? Dalla loro prospettiva vi erano tutte le potenzialità per perdere tutto il loro mondo per sempre. In particolar modo, rimasero sconvolti da ciò che accadde tra il 5 e il 6 ottobre, quando migliaia di donne parigine marciarono su Versailles costringendo i reali a trasferissi a forza in città presso le Tuileiries. Un testimone ci viene in soccorso, una lettera, che qualche giorno più tardi lo stesso Luigi XVI inviò al cugino re di Spagna, nella quale il sovrano francese ripudiava la rivoluzione e i suoi avvenimenti, convinto che alla lunga l’assolutismo monarchico, avrebbe prevalso sui dissidi interni ai rivoluzionari.
Proprio come le previsioni scadenti dei ciarlatani televisivi dei nostri giorni, anche quelle del sovrano si spezzarono come spighe di fronte alla falce. La tattica attendista e doppiogiochista di Luigi XVI servì a poco quando nel giugno del 1791 tentò di organizzare una fuga. Tale tentativo venne bloccato nei pressi di Varennes ed effettivamente rappresentò un momento di svolta per la Rivoluzione. La popolarità del sovrano si trasformò in risentimento, disprezzo e odio da parte dell’opinione pubblica. Per qualche tempo, il re venne privato delle sue funzioni, ma la cosa non durò molto, dato che le riacquisì dopo qualche settimana. Nonostante la situazione fosse tesa come non mai, fu proprio Luigi ad esacerbare ancora di più gli animi, avanzando veti continui sulle proposte dell’Assemblea ad ogni riunione. Non passò molto, il 10 agosto del 1792, in seguito ad una sommossa popolare, che la famiglia reale venne arrestata. Così il 21 settembre 1792, la Convenzione proclamò la fine della monarchia in Francia. Rimaneva da decidere della sorte dell’ormai Luigi Capeto.
In tal senso, partirono dibattiti e discussioni in seno alla Convenzione stessa. In particolare, erano opposte le posizioni tra i girondini e montagnardi, con i primi che affermarono l’incostituzionalità di un processo nei suoi confronti in quanto sovrano, i secondi sostennero che il fu Luigi XVI non era un accusato, ma un nemico e che per tanto gravava su di lui il diritto di guerra. La discussione subì una svolta netta quanto all’interno del palazzo reale vennero scoperti dei documenti e corrispondenze dell’ex sovrano con i capi monarchici passati dalla parte del nemico. Per Luigi Capeto evitare il processo sembrava impossibile.
Processo che avvenne e nel quale Luigi comparve di fronte ai giudici rivendicando la propria inviolabilità e negando l’autenticità delle prove a suo carico. Non servì a nulla, tutti i deputati lo giudicarono colpevole di cospirazione contro la libertà. Nacque un altro dibattito, questa volta sulla pena da impartire all’ex sovrano, dibattito che vide trionfare ancora la linea dei montagnarda di Robespierre: la morte di Luigi era uno sbocco spietato, ma tuttavia logico e necessario per il bene della rivoluzione. Tra il 14 e il 20 gennaio si tennero le votazioni per la condanna a morte. L’esito contò 387 voti favorevoli e 334 contrari, la testa del sovrano aveva i giorni contati.
Si ritorna così a quella tranquilla mattina parigina, troppo normale per non passare inosservata. Dopo essersi confessato, Luigi Capeto salì sulla carrozza che lo avrebbe portato in piazza della Rivoluzione (oggi Place de la Concorde). Lì dinnanzi alla statua di Luigi XV salì i gradini che lo portarono faccia a faccia con la ghigliottina, tra il frastuono di una folla con il fiato sospeso e il sull’ incessante rullio dei tamburi, gridò un’ultima volta alla sua innocenza.
Quando ogni rumore si acquietò si scrisse la storia. Il re di Francia aveva perso la testa.