Erano partiti da Foggia poco prima delle otto del mattino gli aerei statunitensi per colpire le fabbriche di Milano.
La missione fallì, ma pur di non tornare alla base ancora carichi, sganciarono le 342 bombe che portavano in grembo sulla cittadinanza inerme.
La guerra non era finita, l’armistizio aveva solo diviso in due l’Italia e quel mattino, per giunta, tirava aria di bombe: il cielo era terso e il rischio grosso. Col cielo blu, i Pippo vomitano più spesso i loro mortali fragori.
Alle 11 e un quarto suonò il primo allarme. Chi poté corso nei rifugi, quei luoghi temuti e vitali contrassegnati da quella freccia rossa che puntava U.S., unità di sicurezza.
Chi non poté fuggire finì sotto le bombe e morì.
Quella mattina a Milano morirono 614 persone.
Un intero quartiere fu distrutto, quello di Gorla, subito dietro la stazione centrale, oltre il ponte sulla Martesana. Una delle bombe colpì la scuola Francesco Crispi, una scuola elementare, proprio mentre i bambini stavano fuggendo verso il rifugio sotterraneo. Tutti morti.
Alle 184 giovani vittime, ai Piccoli Martiri, è oggi dedicata la piazza dove sorgeva la scuola. Vi campeggia un monumento di marmo e ferro straziante, con una madre che tiene in braccio il corpo di un bambino inerme, sotto la scritta: ECCO LA GUERRA.