La legge Scelba fu approvata nel 1952, in attuazione della XII disposizione finale della Costituzione.
Era il 20 giugno, e un comitato interministeriale incaricato da Alcide De Gasperi e guidato da Mario Scelba dava il proprio assenso alla legge n. 645, che vietava la ricostituzione del partito fascista, ma anche l’apologia del fascismo e cioè la difesa, a parole o per iscritto, del regime.
Fu questa previsione in particolare ad essere frequentemente invocata negli anni successivi nei confronti di molti esponenti del Movimento Sociale Italiano. Al di là però della questione politica, quel che veniva in rilievo era un contrasto eminentemente giuridico: cosa prevaleva tra la legge Scelba e l’articolo 21 della Costituzione a tutela della libertà di espressione?
Un primo chiarimento arrivò cinque anni dopo dalla Corte Costituzionale, che dichiarò la legittimità del reato disegnato dalla legge Scelba rispetto alle previsioni costituzionali.
Per integrare infatti il reato di “apologia di fascismo” non era sufficiente la “difesa elogiativa” del regime, che sarebbe stata tutelata dall’articolo 21 della Carta, ma ci doveva essere “una esaltazione tale da poter condurre alla riorganizzazione del partito fascista”.
Nel 1958 la Corte fu poi nuovamente chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni della legge n. 645 e, ancora una volta, le salvò dalla dichiarazione di incostituzionalità, dichiarando reato solo quanto fosse strettamente connesso o strumentale alla “restaurazione” del regime fascista.
Nel 1993 il governo di Giuliano Amato approvò poi un decreto legge, noto come “Legge Mancino” dal nome dell’allora ministro dell’Interno, il cui obiettivo avrebbe dovuto essere quello di restringere la portata della legge Scelba, ma che di fatto non fece altro che portare alla ribalta lo stesso problema rischiando, almeno in apparenza, di porsi in contrasto con la Carta dei diritti.
Nonostante siano passati diversi decenni, le critiche tutt’ora non mancano, l’articolo 21 è ancora invocato e il rischio di decisioni pericolosamente discrezionali da parte dei tribunali ancora temuto.