Il 13 febbraio 528, a meno di un anno dalla sua ascesa al trono imperiale, Giustiniano emanava la costituzione Haec quae necessario, che costituisce una chiara dichiarazione di intenti.
In essa l’imperatore manifestava la volontà di procedere ad un riordinamento che ponesse fine alle lungaggini processuali, e disponeva pertanto di avviare la redazione di un codice di leges, nel quale confluissero i materiali facenti parte dei precedenti codici, nonché le costituzioni emanate dopo la pubblicazione del Codice Teodosiano, fino alla produzione legislativa dello stesso Giustiniano.
Nel nuovo codice non dovevano essere accolte le disposizioni cadute in desuetudine o abrogate da costituzioni successive.
Della stesura del codice venne incaricata una commissione composta di dieci membri: presieduta da Giovanni ex quaestor sacri palatii e formata da Triboniano, Teofilo, 2 avvocati (Diosfuro e Presentino) e 5 funzionari imperiali.
Ai commissari fu dato il potere di apportare aggiunte, tagli e modifiche (le cosiddette interpolazioni) al testo delle costituzioni, al fine di renderle più chiare e di riunire o dividere le disposizioni in modo da porle sotto i titoli appropriati.
L’opera fu compiuta in appena un anno. Il termine dei lavori viene annunciato da Giustiniano il 7 aprile 529, con la costituzione Summa rei publicae. In essa l’imperatore ordina che nei processi vengano citate solo le costituzioni contenute nel codice e vieta l’utilizzo di testi diversi da quelli inseriti nel Codex appena pubblicato.
Il Codex Iustinianus Vetus entrò in vigore il 16 aprile 529.