Nasceva oggi, nel 1723, William Blackstone, giurista e giudice inglese del XVIII secolo. Dopo una parentesi professionale (non particolarmente brillante) come avvocato, Blackstone si impose sulla scena culturale inglese grazie a una serie di trattati giuridici che ebbero un ruolo fondamentale nel “sistematizzare” l’allora ancora informe ordinamento di common law. Il primo di questi fu An Analysis of the Laws of England (1756), un agile volume (200 pagine) che riprendeva i contenuti di una serie di lezioni di respiro generale che egli aveva tenuto presso l’All Souls College di Oxford e che avevano rappresentato una assoluta novità nel campo dell’insegnamento del diritto inglese. Il successo dell’Analysis assicurò a Blackstone la tanto desiderata nomina a professore universitario, che giunse nel 1758, quando fu scelto come titolare dell’appena istituita Vinerian Professorship of Common Law, ad Oxford. La prolusione che egli pronunciò il 24 Ottobre 1758 – e che fu immediatamente pubblicata come A Discourse on the Study of the Law – costituì un altro straordinario successo. Nonostante la fortuna dei suoi corsi, Blackstone si alienò rapidamente le simpatie dei suoi colleghi e si scoprì non apprezzato dagli amministratori dell’Università; fortemente deluso, scelse di allontanarsi dall’insegnamento (pur non abbandonandolo) e di riprendere l’attività forense, questa volta con maggiore successo rispetto ai primi tentativi giovanili. Nel 1761 fu anche eletto deputato alla House of Commons, per la fazione dei Tories (che sarebbero poi evoluti nell’odierno Partito Conservatore), e iniziò a coltivare la prospettiva di una carriera giudiziaria.
Nel 1765, Blackstone decise di dimettersi dalla sua cattedra universitaria, non prima – però – di tenere un’ultima serie di lectio magistralis che, opportunatamente ampliate, videro la luce sotto il titolo di Commentaries on the Laws of England (1765-1770). Come era accaduto con l’Analysis e il Discourse, anche quest’opera fu un trionfo: dalla sua pubblicazione, Blackstone guadagnò 14.000 £ (pari a 1.961.000 £ attuali). I Commentaries – un trattato in quattro volumi – costituiscono, indubbiamente, il suo capolavoro, e hanno avuto un impatto sui sistemi di common law che difficilmente può essere esagerato. Si ritiene tradizionalmente che i Commentaries abbiano avuto il pregio di rendere popolare, tra le altre cose, la regola garantistica de “in dubio pro reo” (il cosiddetto “Blackstone’s ratio”: è meglio avere dieci colpevoli fuori dal carcere, che un solo innocente dentro) e il principio dell’irresponsabilità giuridica per gli atti politici del sovrano («the King can do no wrong»). Nel giudizio di William Holdsworth, se il Regno Unito non ha adottato un sistema di diritto “codificato” sul modello dell’Europa continentale è stato anche grazie all’influenza dell’opera di Blackstone. I Commentaries furono essenziali anche nella formazione dei Padri Fondatori degli Stati Uniti: tutti i documenti “fondativi” di quel Paese (la Dichiarazione di Indipendenza, la Costituzione federale, i Federalist Papers, le sentenze firmate dal Chief Justice John Marshall) risentono dell’insegnamento del grande giurista inglese (ancora oggi, i Commentaries sono citati, in media, tra 10 e 12 volte nelle sentenze della Corte Suprema americana).
Nel 1770 – grazie all’interessamento del Chief Justice Lord Mansfield, che gli era molto amico – Blackstone riuscì a ottenere la nomina a giudice della Court of Common Pleas, e in questo incarico spese gli ultimi dieci anni della sua vita, prima dell’improvvisa morte sopraggiunta il 14 febbraio 1780, all’età di soli 56 anni. La sua “filosofia” può essere condensata in questo breve passaggio, tratto dai Commentaries (vol. 1, Natural Rights): «lo scopo principale del vivere in società è quello di proteggere quei diritti “assoluti” che all’individuo vengono riconosciuti dall’immutabile diritto naturale, ma che non possono essere goduti indisturbati senza la mutua assistenza propria delle pacifiche comunità sociali. Da ciò consegue che il primo e fondamentale scopo delle leggi umane è quello di preservare e regolare questi diritti “assoluti” dell’individuo».