All’inizio del Seicento il dissidio tra corti di Common Law e corti di Equity si accentuò sino a sfociare in una crisi acuta. In questa vicenda, che segnò un momento cruciale nella trasformazione dell’ordinamento giuridico inglese, ebbe un ruolo da protagonista una delle figure più importanti nella storia del diritto britannico: Sir Edward Coke (Norfolk, 1º febbraio 1552 – Buckinghamshire, 3 settembre 1634).
Conoscitore profondo del Common Law, Coke compose una serie di opere destinate a rimanere basilari nei due secoli successivi: in particolare i suoi Reports in 13 volumi riuscirono nell’impresa di ricostruire l’intero sistema di Common Law attraverso il richiamo e il commento di migliaia di casi decisi dall’età medioevale sino al primo Seicento. L’influenza e il prestigio dell’opera furono enormi, così come lo furono i libri degli Institutes, un’esposizione sistematica del diritto immobiliare, del diritto criminale, dei principali statues e del sistema delle Corti di giustizia.
Chief Justice della Court of Common Pleas dal 1606, Coke si oppose con decisione alla richiesta del re di sottrarre alla giurisdizione di Common Law un caso riguardante i diritti fatti valere da un arcivescovo, sostenendo che la giustizia dei giudici di professione, dunque amministrata dalle Corti regie tradizionali, doveva costituire il vero fondamento del diritto inglese, come tale non sostituibile né infirmabile neppure dalla diretta volontà del sovrano. La sua concezione del Common Law come “legge fondamentale” del regno, in grado di imporsi e di prevalere nei confronti della Corona e dello stesso Parlamento, fu enunciata in termini divenuti classici; così come rimase memorabile la tesi da lui sostenuta direttamente nei confronti del re, secondo la quale per giudicare rettamente non basta l’equità naturale ma occorre applicare una tecnica del diritto che solo gli esperti possiedono sulla base della loro familiarità con le decisioni antiche: “il nuovo frumento nasce da campi antichi”.
Qualche anno più tardi, nel 1611, Coke negò che una Commissione speciale di nomina regia potesse decretare la pena del carcere in un caso specifico. E poco dopo, nel 1615, divenuto Chief Justice del King’s Bench, si battè contro la Corte di cancelleria che intendeva, come già in passato, riformare una decisione della Corte regia, decisione che il ricorrente sosteneva essere fraudolenta. Ma gli si oppose il cancelliere in carica, Lord Ellesmere, il quale nella battaglia in sostegno della Corte di Equity aveva il pieno supporto del re Giacomo I. Un decreto sovrano stabilì che il cancelliere poteva intervenire con un suo giudizio anche dopo che un caso fosse stato deciso in base al Common Law.
Edward Coke fu sconfitto. E poco dopo, nel 1616, rimasto in minoranza nella sua Corte in un caso sulle prerogative del re in materia ecclesiastica egli fu costretto a lasciare il suo scranno di Chief Justice. Ma negli anni seguenti svolse ancora un ruolo di spicco sul fronte dell’opposizione, nel corso della vicenda politica che condusse all’affermazione del Parlamento e al moderno costituzionalismo inglese: nel 1628 lo scontro fu aspro, tra la Corte del King’s Bench e il governo del re, che aveva fatto incarcerare cinque cavalieri i quali avevano rifiutato di sottoscrivere un prestito forzoso imposto dalla Corona. L’argomentazione di Coke – che dichiarò contraria alla Magna Charta la pretesa di imprigionare senza causa un suddito – non fu risolutiva. Nel contrasto tra re e Parlamento si giunse ad un passo dalla guerra civile.
(tratto da Antonio Padoa Schioppa, Storia del Diritto in Europa)